Page 200 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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                       Quando mi rivolsi di nuovo al Commissario, vidi che raccoglieva le sue
                       scartoffie e mi porgeva il mio documento.
                       - Finito?
                       - Non ho altro da domandarvi.
                       - Ma perché arrestarmi per sapere quello che sapevate?
                       - Non ho altro da domandarvi,- ripeté con accento irritato, e uscì sbatten-
                       do l’uscio”.

                    Perché fermarli e interrogarli dunque? Una domanda che aveva poco senso
                 in quel periodo in cui un arrestato poteva finire fucilato senza processo o es-
                 sere sottoposto alle più scrupolose indagini di polizia in base ad un concorso
                 di circostanze tanto ignote quanto decisive. Ora la loro sorte era affidata alle
                 decisioni che si stavano prendendo in qualche stanza della palazzina, o più pro-
                 babilmente a Mosca, dove la notizia del loro arresto era stata certo telegrafata.
                    Ferraris comunque non si fidava di tanta fortuna, e continuò ad essere in-
                 quieto fino a quando dopo un’ora e mezza il funzionario tornò. Il russo gli co-
                 municò seccamente che lui e Vigliotti potevano tornarsene alla stazione, dove
                 li accompagnò lui stesso, consegnandoli sulla predella del treno alla cura di un
                 altro bolscevico in partenza per Mosca, il tavarisc Pavlov. Di costui Ferraris
                 produce un’altra delle sue descrizioni romanzesche, che del resto sembrano un
                 poco assomigliarsi tutte.
                       “Alto e straunto, una enorme sciarpa rossa al collo, uno stellone scarlatto
                       sul copricapo, occhi cisposi, naso sottile, pelle cerea, maniere che voglion
                       essere disinvolte ma che lasciano trasparire una abitudine servile. Questo
                       in pochi tratti il mio compagno di viaggi”.


                    La sola altra compagnia erano dieci “prigionieri politici” liberati dai bolsce-
                 vichi ad Omsk, i cui volti patibolari però consigliavano di stare in guardia.
                    È probabile che alla felice conclusione della vicenda di Krasnojarsk non sia
                 stato estraneo il documento di viaggio di cui l’ufficiale italiano era munito. Alla
                 partenza infatti, Ferraris disponeva di un inutile passaporto valido per il territo-
                 rio di Krasnojarsk e per il governo di Kolchack, ma il buonsenso gli suggerì di
                 non farne uso nei territori controllati dai rossi.

                       “Come il documento si fosse poi mutato in quello vistato dalla 5ª Armata
                       bolscevica non posso precisare; ma assicuro che esso era senza raschiatu-
                       re e nitidamente dattilografato. La beffa germogliata a…fu maturata oltre
                       Kansk, complice la bontà di un anima appassionata di fanciulla siberiana
                       che da tanto tempo desiderava conoscere un italiano”.



                                                                           capitolo settimo
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