Page 196 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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                 nata vicenda. Il comandante del presidio della stazione Kansk era un ufficiale
                 ceco, dal quale Antonov ricevette immediatamente una comunicazione inaspet-
                 tata: nessun convoglio avrebbe lasciato la stazione senza l’autorizzazione del
                 comandante sovietico che avrebbe rilevato il comando quando l’ultimo convo-
                 glio dei cecoslovacchi fosse partito.
                    Il giorno successivo lo stesso ufficiale coi suoi uomini saltò sull’ultimo con-
                 voglio di passaggio, e per alcune ore la città restò in balia di nessuno. Alle 15
                 infine arrivò un treno blindato dell’Armata Rossa.

                       Sui tetti dei vagoni, sulla locomotiva, sulle passerelle, sui terrazzini; se-
                       duti a cavalcioni, sdraiati, ritti, tra uno scarlatto sventolio di bandiere,
                       ecco i primi stellati armigeri della rivoluzione di Lenin. Niente di eroico
                       in essi ed anche nessuna posa o baldanza guerriera, ma sembianti di ra-
                       gazzi che se la godono un mondo alla katanie (lo scarrozzare).

                    Ferraris cercando di non farsi notare lasciò il treno presidenziale, e si dires-
                 se alla volta della stazione, sperando che Antonov avesse ottenuto il permesso
                 di partire subito. “Seppi che saremmo partiti selcia, che letteralmente in russo
                 vuol dire immediatamente, ma in pratica «quando mi fa comodo». Per non dare
                 nell’occhio tornai al vagone”.
                    Qui mentre Vigliotti conversava cordialmente in russo approssimativo con
                 le guardie rosse, Ferraris attese il ritorno del suo ospite, che rientrò poco dopo.
                    Il colloquio col comandante bolscevico di Kansk doveva aver tolto ad An-
                 tonov molte delle sue illusioni. Il funzionario era stato chiaro: nessuno avrebbe
                 lasciato la città fino a quando dalle autorità sovietiche di Omsk non ne fosse
                 arrivata l’autorizzazione e poco importava che Antonov e la sua delegazione
                 proprio ad Omsk dovessero recarsi, e proprio a trattare con quelle autorità.
                    “Nel pomeriggio l’umore di Antonov e di tutti i delegati fu nero”, annoterà
                 Ferraris.
                    Antonov, la cui fiducia nelle intenzioni dei bolscevichi appariva assai dimi-
                 nuita, raccomandò ai due italiani di stare nascosti nei vagoni, e consigliò loro
                 di lasciar di nascosto il convoglio non appena fossero giunti a Krasnojarsk, il
                 luogo dove Ferraris doveva iniziare la sua missione, quale che fosse.
                    Finalmente a sera, l’autorizzazione a partire arrivò, ed il convoglio entrò a
                 Krasnojarsk alla mezzanotte del 17 gennaio.
                    La città era nelle mani dei bolscevichi già da alcuni giorni, e all’apparenza
                 sembrava tranquilla. Scesi lestamente dal vagone coi loro bagagli, Ferraris e
                 Vigliotti, entrambi in borghese, riuscirono ad avviarsi verso l’uscita della sta-
                 zione, quando, secondo il racconto di Ferraris, Vigliotti urtato da un soldato



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