Page 193 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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La campagna deL 1919 e iL ritiro deL cSeo            191

                   dove, sul quando e sul come. E tantomeno sul perché.
                      Giocavano a favore di Ferraris unicamente la sua perfetta conoscenza del
                   russo e la volontà da parte sovietica di non causare incidenti con le potenze
                   occidentali.
                      Proprio questo complesso di circostanze, che rendevano la missione rischio-
                   sissima anche di complicazioni internazionali, ci induce tuttavia a pensare che
                   dietro il pericoloso viaggio di Ferraris ci fosse ben altro che la ricerca di qualche
                   disperso nel cuore della steppa.
                      Quando la sera del 31 dicembre 1919 il maggiore Manera e gli altri ufficiali
                   salutarono Ferraris e Vigliotti alla stazione di Vladivostok l’atmosfera era cupa,
                   e molti pensavano probabilmente che i due andassero incontro ad una sorte
                   tragica.
                      Della sua anabasi attraverso la “Russia rossa” lo stesso Ferraris ci ha lasciato
                   un gustoso racconto, riportato quasi per intero nel libro del suo collega Bazzani.
                   Si tratta di un documento assai interessante.
                      Uomo di vaste e solide letture, Ferraris sceglie uno stile più diretto e ironico
                   rispetto a quello piuttosto enciclopedico e talvolta retorico di Bazzani. Il viag-
                   gio con il suo attendente si snoda come una breve serie di avventure picaresche
                   in un paese sconvolto dalla guerra, flagellato dalla fame, immerso per migliaia
                   di chilometri in una sconfinata coltre nevosa, popolato di personaggi gogoliani,
                   nel cui tratteggio è probabile che Ferraris non abbia resistito ad attingere a qual-
                   che suggestione letteraria.
                      Il verboso leader socialista russo, il bieco “commissario” bolscevico ebreo,
                   le feroci guardie ungheresi al servizio dei rossi, l’ex-sacerdote divenuto fun-
                   zionario di partito. Di tutti costoro l’ufficiale italiano, che scrive nell’Italia del
                   1934, fa un ritratto vivido e sarcastico, talvolta non privo di accenti antisemiti
                   e antislavi. Non mancano tuttavia, come in ogni libro di viaggi, anche incontri
                   più lieti, fra cui quello con una ragazza russa felice di conoscere un italiano, e
                   soprattutto quello con gruppo di generosi marinai bolscevichi che si rivelano
                   provvidenziali per la sorte dei due italiani, perché, sembra suggerirci Ferraris
                   alla fine del racconto, fra veri soldati ci si intende sempre.
                      È probabile che dopo la partenza dalla stazione di Vladivostok, Ferraris ab-
                   bia consultato la carta dettagliata della Siberia consegnatagli dal maggiore Ma-
                   nera. Il lunghissimo tragitto che avrebbero dovuto percorrere passava attraverso
                   tutte le diverse zone di sovranità esistenti allora in Russia. Dai territori occupati
                   dagli alleati dell’Amur e della Provincia Marittima, si sarebbe transitati in una
                   fascia di territorio in mano agli ultimi fedeli di Kolchack e ai cosacchi di Seme-
                   nov, quindi nella provincia di Irkutsk, che rappresentava quanto rimaneva del
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