Page 192 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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                    Mentre tutti gli italiani del CSEO lasciavano la Russia verso Tien-Tsin per
                 fare ritorno in Italia via mare, un ufficiale ed il suo attendente negli stessi giorni
                 si mettevano in viaggio per la strada opposta, attraverso la Siberia e la Russia
                 alla volta di Mosca. Erano il capitano Emilio Ferraris ed il soldato Vigliotti, il
                 loro compito ufficiale era di ricercare gli eventuali ultimi dispersi italiani lungo
                 la Transiberiana, ma è assai probabile che avessero anche il mandato di rac-
                 cogliere coi propri occhi e le proprie orecchie quanto più fosse possibile degli
                 avvenimenti russi di quei mesi cruciali, dei quali in Italia si era quasi del tutto
                 all’oscuro, dopo la partenza delle missioni militari da Mosca e Pietrogrado.
                    Il  protagonista  e  l’ideatore  di  questa  missione  era  il  medesimo  capitano
                 Ferraris,  lo  stesso  che  aveva  seguito  col  proprio  drappello  il  colonnello
                 Romerov nella sua drammatica spedizione di polizia l’anno precedente.
                    Professore di lingua italiana all’Università di Mosca, eccellente conoscitore
                 del russo e dei costumi slavi, Ferraris si era presentato volontario allo scoppio
                 della Grande Guerra, combattendo come ufficiale degli arditi sul fronte italiano
                 prima di essere rimandato nel 1919 con il CSEO in Russia, ove prese parte alle
                 operazioni del contingente italiano. Dopo la partenza del CSEO da Krasnojarsk,
                 l’ufficiale aveva ottenuto di essere aggregato alla “Missione Manera”, come era
                 chiamata comunemente la missione per il recupero degli ex-prigionieri. Nella
                 capitale russa, inoltre, l’ufficiale aveva lasciato all’inizio della guerra la moglie,
                 ed anche questo fattore, che Ferraris non nascose ai propri superiori, incise
                 certamente nella sua decisione di offrirsi per una missione tanto rischiosa da
                 rasentare l’incoscienza.
                    La guerra civile infatti era tutt’altro che terminata, anche se l’esito ne era
                 praticamente deciso, e le possibilità di venire arrestato e fucilato dai bolscevichi
                 lungo il percorso erano altissime. Per non insospettire i sovietici, Ferraris ed il
                 suo attendente Vigliotti, un “irredento” trentino, avrebbero viaggiato in divisa
                 e muniti dei propri documenti, come per una normale esigenza di servizio. Ciò
                 li avrebbe in teoria difesi dall’accusa di essere spie, ma li avrebbe esposti a
                 molti altri rischi. Non esisteva né era mai esistito in teoria alcuno stato di guerra
                 fra l’Italia e la Russia Sovietica, tuttavia non era un segreto che truppe italia-
                 ne avessero operato nelle retrovie delle armate di Kolchack. Sarebbe bastato
                 incappare in un funzionario più sospettoso degli altri o semplicemente in un
                 reparto di guardie ubriache, ed i due stranieri sarebbero stati messi al muro, e
                 nel caos della guerra civile russa nessuno avrebbe fatto poi molte ricerche sul


                 335  L’intero capitolo è tratto dal racconto dello stesso Ferraris, inserito nelle memorie di Gaetano
                    Bazzani Soldati italiani nella Russia in Fiamme, pp. 375­404.


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