Page 191 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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La campagna deL 1919 e iL ritiro deL cSeo            189

                   gelsomino, la Marcia imperiale manciù e il Terzetto delle maschere e, colpito
                   dall’elegante esotismo di quelle note, le inserirà tutte e tre nella sua nuova ope-
                   ra, la Turandot, ambientata nella Cina della restaurazione Ming .
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                      Il 10 aprile 1920 il piroscafo England Maru sbarcò a Trieste il primo scaglio-
                   ne del contingente, recante con sé un orsacchiotto siberiano, preso in consegna
                   sulla banchina del porto da un funzionario del Giardino Zoologico, unica auto-
                   rità presente.
                      Seguirono nelle settimane successive il Texas Maru, il French Maru, ed il
                   Nippon Maru, che il 31 sbarcò a Brindisi tutti i soldati di origine meridionale.
                      I soldati irredenti, non senza alcune difficoltà, vennero equiparati alla “Clas-
                   se 1900”, venendo congedati con un premio di 50 Lire ed il pacco vestiario.
                   La Bandiera di Combattimento del Contingente in Estremo Oriente, già della
                   Legione Trentina, fu consegnata al neonato Museo di Trento .
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                      Mano a mano che sbarcavano, assolte poche formalità, gli uomini vennero
                   messi in congedo immediato e iniziarono, ognuno a suo modo, il ritorno a casa.

                      Finiva così, senza solennità e quasi di nascosto come era iniziata, la vicenda
                   dei soldati italiani in terra russa, ma probabilmente poco importò loro. Per al-
                   cuni questa storia era iniziata nell’estate del 1914, l’ultima estate dell’Europa,
                   con i copi di pistola di Sarajevo. Sei anni dopo erano ancora vivi, la guerra era
                   finita ed erano a casa. Poteva bastare.
                      Al momento di lasciare la Russia, il soldato Domenico Perrone aveva an-
                   notato sul proprio diario la contentezza del ritorno. Parole e pensieri semplici,
                   espressi in un italiano stentato, ma non per questo meno espressivo:

                         “Dopo 8 mesi che manco dall’Italia non so più niente oltre più al pensare
                         ai miei due cari fratelli che si trovano al fronte[.] Chissà come andrà ma
                         speriamo sempre in bene[.]
                         Dopo aver pensato un po’ penso che è meglio lasciar che vada come [g]
                         li pare basta che ci sia la salute in tutti […]. Sempre penso che arrivi quel
                         dì di ritornare in Italia per potersi ritrovare tutti insieme a casa e passa-
                         re quelle belle giornate in compagnia e di partire presto da queste terre
                         sperse e da questi deserti che mi rincrescerebbe perfino a starci da morto
                         qua[,] e ritornare presto alle nostre care case e ai nostri cari paesi” .
                                                                                334


                   332  PAOLO COLUZZI, Il calice di porpora, Tricase, Youcanprint Self­Publishing, 2017, pp. 318­
                       321, 454.
                   333  G. BAZZANI, Soldati italiani, pp. 419­424.
                   334  L­3, B. 198, fasc. 6, pp. 18­19.
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