Page 434 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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424 GIORGIO GIORGERINI
Cambiata atmosfera, nel 1923, già dunque col governo Mussolini, l'Italia,
ancora a mal partito per la guerra e il dopoguerra, volle fare ancora il ruggito
della grande potenza: bombardamento e occupazione di Corfù. Scademmo nel
ridicolo, con un Mussolini che chiedeva a Paolo Thaon di Revel e a Romeo Bernotti
se l'Italia, in caso d'intervento della flotta britannica, sarebbe riuscita a respingerla
con i MAS!
Al di là del valore e dell'efficacia di cui poterono dare prova i reparti navali
e terrestri destinati a queste missioni all'estero e dei risultati e obiettivi immediati
raggiunti nei settantotto anni di storia che il Convegno comprende, il problema
che si pone è se l'Italia era nel giusto e nella appropriata condizione per perseguire
una politica del genere che per altre ragioni della vita nazionale sarebbe stata al
di fuori della sua portata. Forse il suo ruolo, compatibile con la realtà del Paese,
avrebbe potuto essere limitato a quello di una presenza di una media potenza
quale essa era. Sedersi al tavolo delle grandi potenze, con la pretesa della parità,
nulla ci portò in termini di interessi politici e di altra natura. Oggi abbiamo una
situazione fotocopia.
Venne la guerra, venne il dopoguerra, venne la Guerra Fredda e venne il crollo
del muro di Berlino. Tutti si sono messi in attesa di ricevere i "dividendi della
pace". Alla stabilità del tempo della contrapposizione dei blocchi è succeduta
un'epoca, che stiamo vivendo, di instabilità, crisi, guerriglie, conflitti locali e
intestini, guerre a bassa intensità. Vediamo sulla scena internazionale nuovi attori,
nuove organizzazioni che, per conto surrettizio delle grandi e meno grandi potenze,
ma comunque dei grandi interessi planetari, si assumono il compito di mandanti
di interventi militari internazionali per il ristabilimento, mantenimento della pace,
interposizione, interventi umanitari, difesa dei diritti umani. Non si sa più se i
principi e i contenuti del diritto internazionale hanno ancora un valore o meno e
quindi non si sa come comportarsi di conseguenza: rispetto dei confini, di acque
territoriali, di sovranità, di non interferenza negli affari interni, responsabilità dei
comandi sotto tiro d'imputazione, ecc., è materia divenuta assai labile, diversamente
plasmabile da situazione a situazione, da convenienza a convenienza.
Peacekeeping, peacemaking, peace enforcing, peace support, peace implemen-
tation e tante altre definizioni sono oggi date alle numerose e frequenti missioni
all'estero, generalmente a carattere plurinazionale. La natura di queste nuove
missioni non poco si raccorda con quelle di un tempo, seppure dietro uno scudo
di elevati valori morali racchiusi nella definizione quanto mai ampia e indefinita
di difesa dei diritti umani. Ogni missione, anche se nata per iniziativa di uno o di
pochi paesi, deve portare necessariamente l'etichetta di qualche organizzazione
internazionale: sia essa ONU, OSCE, UE o NATO.
Nella nuova situazione l'Italia è di nuovo protagonista. Lo fummo già
all'indomani della conclusione della guerra quando, per riuscire a rendere meno
dolorosi i morsi del trattato di pace, ottenemmo che l'ONU ci affidasse il mandato