Page 432 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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422 GIORGIO GIORGERINI
di proiezione interforze con una combinazione di forze navali e terrestri, divenute
oggi la funzione prima di un moderno strumento militare. Forse in questo stesso
ambito, e con un peso anche maggiore, avremmo dovuto anche ricordare il primo
impegno di penetrazione e presenza italiana in Eritrea e in Somalia, che inizialmente
non fu di occupazione militare coloniale, ma di apertura di presenza diplomatica
e di insediamenti commerciali, sia pur tendenti a trasformarsi come accadde in
regime di sudditanza coloniale.
Importante, per altre ragioni, la complessa vicenda delle occupazioni adriatiche
del 1918-20 connessa a una criticità dei rapporti dell'Italia con le altre potenze
vincitrici della prima guerra mondiale.
Appare cospicuo, ma non cosÌ importante, il repertorio di altre presenze
oltremare e oltre confine: Europa centrale, medio ed Estremo Oriente nel periodo
triennale immediatamente successivo alla fine della prima guerra mondiale. Altri
interventi minori, così come ci sono ora, non hanno avuto grande rilievo nel quadro
dei rapporti internazionali e dell'impegno militare del Paese.
Domandiamoci la ragione per la quale l'Italia, già all'indomani della sua
unificazione, tenne ad essere presente con sue forze militari dove insorgevano crisi
e dove si creava l'esigenza di interventi internazionali velocemente concordati fra
poche capitali, se non addirittura fra comandanti militari in zona, poi avallati dai
propri governi?
l?ltalia della belle époque, ancor fresca di unità nazionale, con difficili problemi
interni da risolvere, nemmeno tanto fiaccata dai rovesci di Lissa e di Custoza, e
piazzata nel mezzo del Mediterraneo, scoperse la lusinga della grande politica
internazionale, del gioco d'azzardo della grande potenza, senza esserlo nella
realtà. Il Ministero della Guerra e il Ministero della Marina del Regno riscuo-
tevano i maggiori stanziamenti del bilancio dello Stato, peraltro non sufficienti
per condurre una credibile politica di potenza, che consentivano comunque di
mantenere un esercito e una flotta non trascurabili, ma certo non privi di lacune
e di pecche, anche serie. Fu rifiutata la più defilata politica di media potenza
regionale, forse più consona alle reali capacità del Paese, per assumerne una di
maggior rilievo, anche perché le situazioni delle relazioni internazionali del momento
lo consentivano. In una politica di questo genere fu facile riconoscere il ruolo
fondamentale che dovevano avervi le Forze Armate, in particolare la Marina,
secondo tradizione. Ma quando si offersero occasioni cii intervento sul territorio,
non si esitò ad inviare oltremare anche l'Esercito.
Una politica estera allineata a quella delle grandi potenze e una qualche
presenza militare significativa, avrebbe dovuto pagare non solo in termini di prestigio
e di peso nella politica internazionale, ma anche contribuire a favorire gli interessi
nazionali sul piano economico, territoriale e strategico. Politica dunque dal
respiro di grande potenza o aspirante tale, presenzialismo militare, con particolare
interesse, va riconosciuto, per le occasioni di collaborazione internazionale:
Creta, Cina, Balcani, Palestina, Slesia e via dicendo.