Page 436 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
P. 436
426 GIORGIO GIORGERINI
diffuso presenzialismo militare poco coerente con la condizione reale del Paese e
con le capacità del suo apparato militare. Continua quindi a tormentarci questo
disequilibrio tra ambiziosi obiettivi di politica estera e di presenza internazionale e
limiti dell'organizzazione e dell'economia militare. Troppi impegni contemporanei,
troppa dispersione delle forze terrestri, navali e aeree che se concentrate in una
o al massimo due aree di crisi avrebbero dato, darebbero, maggior consistenza e
importanza all'intervento italiano.
Abbiamo usurato prima del tempo una flotta intera, per mettere in campo
poco più di 9.000 uomini, sa l'Esercito che difficile impegno ha dovuto mettere
per addestrare ed equipaggiare convenientemente i reparti destinati alle missioni,
l'Aeronautica ha avuto i suoi problemi a rischierare reparti organici d'impiego.
Ma questo sarebbe nulla, si sarebbe potuto, e si potrebbe, fare anche di più, se la
politica questo volesse, però almeno cosciente che lo strumento militare, che si
vuole pronto ed efficiente, ha una continua esigenza di rinnovarsi e di essere tenuto
a punto. Altrimenti si va incontro solo a brutte figure.
La funzione militare del futuro, almeno quello prevedibile, è quello degli
interventi oltre confine e oltremare: bisogna allora attrezzarsi perché le Forze
Armate, intese come un unico organismo integrato, siano primariamente uno
strumento di proiezione. Se non si decide in questa direzione, la politica non
raggiungerà i suoi obiettivi. E mi sembra che questo sia ampiamente dimostrato:
siamo dovunque, ma le nostre aspettative di concreti riconoscimenti internazionali
e di acquisizione di posizioni d'influenza politica e d'interesse economico, vanno
di regola delusi. Gettando sui piatti della bilancia delle relazioni internazionali
propositi, supponenze e velleità e nessuno o pochi elementi di credibile valore
concreto, poco si ottiene. CosÌ come poco si ottiene inviando in missione forze
militari, senza che queste avvertano alle loro spalle il consenso e il sostegno
convinto dell'intero sistema-Paese, l'esistenza di precisi obiettivi nazionali da
conseguire, la conoscenza diffusa nell'opinione pubblica di quello che fanno e
dei loro problemi.
Non mi sembra che dai tempi degli avvenimenti trattati dal Convegno, al di
là del racconto e della valutazione degli avvenimenti militari, alle realtà di oggi,
le situazioni di fondo si siano molto modificate, pur facendo salve alcune differenze
del quadro sul riferimento generale. lo credo che indagando bene sul contorno
politico e sul ritorno di convenienza degli eventi ricordati nel Convegno, vi sia
sostanza concreta su cui meditare per valutare e comprendere oggi molti aspetti
delle missioni peacekeeping. Questo diviene ancora più importante quando gli Stati
Uniti, unica grande potenza esistente, affermano che per loro è troppo dispendioso
impiegare forze cosÌ addestrate e tecnologicamente avanzate, per fare interpo-
sizione di polizia, interventi umanitari, prestare assistenza e soccorso, dividere
litiganti, fare i peacekeeper. Loro dicono: "lo faccia qualche altro", e guardano
verso l'Europa. E non credo che per questo rinuncino ai loro interessi e influenze
sui territori posti sotto tutela.