Page 13 - Scenari Sahariani - Libia 1919-1943. La via italiana alla guerra nel deserto
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IntroduzIone
preparati a impiegare con successo tattiche non convenzionali. Il fine ultimo
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è stato sempre quello di togliere al nemico il vantaggio della sorpresa e della
conoscenza dell’ambiente, sconcertarlo adottando linee d’azione imprevedibili e
dominarlo sia sul piano materiale che sul piano morale sfruttando la sua relativa
mancanza di organizzazione, coesione e disciplina. Una tale impostazione portò
a delineare una via italiana per la guerra nel deserto che trovò la sua massima
espressione durante le campagne del Fezzan e di Cufra, con un’esemplare
integrazione di componenti tradizionali quali i gruppi sahariani – fanteria montata
reclutata tra le popolazioni locali e inquadrati da ufficiali italiani – e componenti
moderne e per l’epoca fortemente caratterizzate in termini tecnologici come la
radio, l’autoblindo e soprattutto l’aeroplano.
Il ruolo del mezzo aereo, utilizzato per funzioni di ricognizione, collegamento
e supporto di fuoco, era esaltato dalle distanze in gioco, e tutto il dispositivo di
controllo si fondava in larga misura sulle possibilità della cosiddetta “aviazione
sahariana”. Anche quando, negli anni Trenta, nei reparti del deserto il cammello
sarebbe stato sostituito dall’autovettura, la componente aerea sarebbe rimasta di
primaria importanza, tanto da rappresentare la pedina operativa irrinunciabile
di quell’innovativo esperimento di integrazione interforze che fu il Battaglione
Sahariano, voluto da Italo Balbo nel segno di quella capacità di innovazione e
modernità che era un suo segno distintivo. Nella sua visione, anche la difesa della
Libia, nell’eventualità di una nuova guerra, avrebbe dovuto sfruttare al meglio
le possibilità del velivolo e dei reparti motorizzati, secondo un modello messo
alla prova nelle grandi manovre del 1938. Il tema individuato per l’occasione
contemplava un esperimento di aviosbarco a livello di divisione e l’autotrasporto
dalla Cirenaica alla Tripolitania di un corpo d’armata, ma una tale impostazione
richiedeva una disponibilità di mezzi che non esisteva, come, a dispetto dei
tentativi di innovazione, non esisteva la necessaria cultura organizzativa.
Allo scoppio delle ostilità le due armate schierate dal Regio Esercito in Libia,
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la 5 , gravitante verso la Tunisia e la 10 , verso l’Egitto, erano grandi unità di
tipo convenzionale, adatte a un conflitto combattuto in Europa e in terreni rotti
e montuosi più che negli ampi spazi del deserto, ideale campo di manovra per
formazioni motorizzate e corazzate. Il Battaglione Sahariano era stato smembrato
per integrare con tre delle sue quattro compagnie, private della componente aerea
organica, l’aliquota motorizzata della 10 Armata, rinunciando così a qualunque
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progetto di azione in profondità verso il Nilo, del resto escluso dalle direttive
strategiche del giugno 1940. Gli eventi successivi avrebbero impedito di porre
rimedio a una situazione aggravata dalla dispersione delle esperienze e delle
competenze maturate nel deserto nel decennio precedente. La ricostituzione dei
2 G. BRECCIA, L’arte della guerriglia, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 21.
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