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Scenari Sahariani – Libia 1919-1943 “La via itaLiana aLLa guerra neL deserto”
della Senussia tra la popolazione e per la presenza di una leadership efficace.
Qui, infatti, ancora nel gennaio del 1929 la situazione poteva dirsi tranquilla
e sicura soltanto a Bengasi, Barce, Cirene, Derna e in qualche altro centro
minore, ma al di fuori di queste località erano gli insorti ad avere il controllo
del territorio. Quando il 24 gennaio 1929 il colonnello Domenico Siciliani
sbarcò a Bengasi per assumere la carica di vicegovernatore, alle dipendenze
del governatore della Libia, maresciallo Badoglio, fu avvertito che non avrebbe
potuto fare un passo fuori città senza scorta. Il quadro generale era quello di
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una sorta di irrequieto e instabile condominio, in cui gli scontri aperti erano
rari, perché gli insorti facevano attenzione a evitarli, ma su cui la presa delle
autorità italiane era labile e illusoria. Come ebbe a dire a Siciliani un capo ribelle
da lui amnistiato, in Cirenaica c’erano due governi, quello di notte e quello di
giorno, il primo, che faceva più paura, era quello dei ribelli, l’altro era il governo
ufficiale. Per risolvere la questione era necessario accompagnare l’azione militare
con misure, finalizzate a rompere il legame tra la popolazione e gli insorti, assai
drastiche: la deportazione di massa e la costruzione di un reticolato confinario
alla frontiera con l’Egitto. Per quanto brutali, soprattutto la prima per le modalità
con cui fu eseguita, misure come queste sono entrate a far parte della panoplia
a disposizione delle forze di controguerriglia, seppur adattate all’evoluzione dei
tempi e del quadro normativo.
L’adattamento all’ambiente si accompagnò allo sviluppo di una vera e propria
dottrina di controguerriglia, e di controllo del territorio, che nel prevedere
l’impiego combinato di posti fortificati e colonne mobili, valorizzando l’apporto
dei reparti coloniali e con un contributo sempre più importante della Regia
Aeronautica, riprendeva e innovava le soluzioni adottate dalle maggiori potenze
del tempo nelle loro operazioni di empire policing. Pur concedendo alla potenza di
fuoco la dovuta importanza, e senza correre inutili rischi, lo strumento utilizzato
era uno strumento leggero, altamente mobile, agile e flessibile, in grado di
proiettare la sua azione ben oltre i limiti di un recente passato grazie anche a
un’attenta cura della logistica.
Alle pesanti colonne di fanteria, cavalleria e artiglieria si sostituivano reparti
libici – e soprattutto eritrei – armati alla leggera, più adatti all’ambiente, e
formazioni irregolari caratterizzate dalla mobilità più che dalla forza d’urto,
lasciando all’elemento nazionale il compito di fornire il supporto specialistico e
di fuoco. Del resto, come è stato fatto notare, tutti gli imperi hanno arruolato i
loro migliori reparti leggeri tra gli uomini di frontiera, o comunque atavicamente
1 D. SICILIANI, Dentro il Comando Supremo. L’amico del generale Badoglio. Il memoriale dell’Ufficiale
che scrisse il Bollettino della Vittoria, Udine, Gaspari Editore, 2019, p. 205-206.
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