Page 151 - ATTI 2021 - IL MILITE IGNOTO
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          l’Ufficio Statistica si dedicò al computo complessivo dei caduti ed alla loro riparti-
          zione. Poi, una speciale Commissione costituita dai rappresentanti di tutte le Forze
          Armate e dalle altre amministrazioni ed enti autonomi interessati alla pubblicazione
          dell’Albo fu incaricata di studiare i criteri relativi alla compilazione del documento.
              Con varianti tutto sommato minime e a seconda del taglio degli studi pre-
          sentati, il numero di perdite generalmente attribuito al Regio Esercito italiano
          durante il Primo conflitto mondiale si attesterebbe intorno alle 650.000 unità,
          sebbene già allora diversi studiosi fornirono ulteriori ipotesi rispetto ai numeri
          ufficiali universalmente utilizzati.
              Il primo studio che cercò di determinare il numero dei caduti si deve a Giorgio
          Mortara, che nel 1925 scrisse uno dei capisaldi della ricerca demografica italiana
          sulla Grande Guerra. La sua ricostruzione, tuttavia, si soffermò solo parzialmen-
          te sull’effettivo numero dei caduti, poiché l’obiettivo della ricerca era costituito
          dal tentativo di esaminare la mortalità generale della guerra e non quello di cal-
          colare il numero dei militari che persero la vita in zona di operazioni militari. Ad
          esso seguì nel 1926 il lavoro di Corrado Gini, futuro presidente dell’Istat, il quale,
          tuttavia, non poté giungere ad una conclusione poiché trasferito ad altro incarico.
               Lo sforzo più significativo e rilevante si ebbe, però, solo con l’istituzione
          dell’Albo d’oro dei caduti della guerra a cura della Direzione del Personale e
          Truppa, nel quale dovevano confluire tutti i nominativi dei militari italiani caduti
          durante il conflitto, per cause belliche o comunque ad esse riconducibili.
              Nel  progetto  iniziale,  dopo  la  pubblicazione  dell’ultimo  volume  dell’Albo
          d’oro le informazioni raccolte avrebbero dovuto integrare e rettificare i testi già
          pubblicati e, solo allora, una volta armonizzati e messi a sistema i dati complessi-
          vi, l’opera sarebbe stata licenziata pubblicamente alle stampe, nella fondata spe-
          ranza che i risultati finali sarebbero stati coerenti con quanto già conosciuto ed
          acquisito, anche perché tali aspettative trovavano un concreto riscontro nei dati
          forniti dal Ministero delle Finanze, che dichiaravano 652.000 pensioni erogate in
          favore di familiari di «morti per diretta e ben accertata causa di guerra».
              I lavori per la realizzazione dell’Albo d’oro procedettero tuttavia con lentezza
          e i dati complessivi finali portarono ad una cifra di 529.025 caduti, piuttosto lon-
          tana dai 650.000 fino a quel momento attestati. Confrontando i lavori e i dati in
          essi presentati, emerge che la rilevazione del 1918 è quella che riporta la cifra più
          bassa di deceduti, con 460.000 caduti, computo effettuato dal Comando Supre-
          mo dell’Esercito al termine del conflitto e tuttavia non completamente attendibi-
          le, perché in esso non erano contemplati i decessi avvenuti dopo la conclusione
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