Page 130 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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E così, nel tentativo di spezzare la morsa che minacciava di stringere l’Austria,
l’imperatore Francesco Giuseppe, per evitare complicazioni con la Francia, il 12 giu-
gno 1866 sottoscrisse un patto segreto con Napoleone III, al quale, in cambio della
sua neutralità nell’imminente ed inevitabile guerra con la Prussia, promise la cessio-
ne del Veneto senza condizioni. “Con la pistola puntata sul petto - disse l’imperatore
Francesco Giuseppe - non resta altra scelta”.
Quattro giorni dopo, il 16 giugno, la Prussia iniziava le ostilità contro l’Austria.
Pur informato di tutte queste complesse manovre intrecciate sulla sua testa dalle di-
plomazie delle grandi potenze europee, il Governo italiano, non senza qualche con-
trasto interno, preferì uscire dal cono d’ombra delle oscure manovre francesi, ed en-
trare comunque direttamente nel conflitto al fianco della Prussia. E così il 20 giugno
l’Italia dichiarava guerra all’Austria.
Il fervore patriottico che si era diffuso in tutto il Paese fu ben presto raffredda-
to dalle brutte notizie che arrivavano dal fronte. Brutte notizie in larga parte legate
all’insufficienza degli armamenti, ma anche e soprattutto ai contrasti in seno agli alti
gradi militari. “Ma il male che minava la forza militare dell’Italia - come ha acuta-
mente scritto lo storico Franco Valsecchi - era un male ben più profondo della scarsità
dei mezzi e dell’insufficienza degli armamenti. Il male che minava la forza militare
dell’Italia era quello stesso che minava la vita della nazione: l’immaturità e l’impre-
parazione, i contrasti e le divisioni. L’esercito italiano era il risultato della improvvisa
ed improvvisata fusione degli eserciti dei due maggiori Stati in cui nel passato era
divisa la penisola: il regno del nord ed il regno del sud, lo Stato piemontese e lo Stato
napoletano. Due mondi separati da un solco profondo, due eserciti separati da rivali-
tà, da odi e da rancori non ancora sopiti”. Alla vigilia della guerra, esperiti invano vari
tentativi di creare un comando supremo per superare le accese rivalità fra i generali,
fu trovata una soluzione di compromesso, che suddivideva l’esercito in due “masse”.
Una, forte di 12 divisioni, sul Mincio al comando di Alfonso La Marmora; l’altra
forte di 8 divisioni, sul Po, al comando di Enrico Cialdini. A queste due armate di
truppe regolari, furono affiancati i volontari di Garibaldi con il compito di “operare
nel Trentino, per dare sicurezza al fianco sinistro dell’esercito del Mincio”.
Il 6 maggio 1866 veniva stabilita la formazione di un Corpo di volontari posta
sotto il comando di Giuseppe Garibaldi, che negli ultimi due anni, dopo il trionfale
viaggio a Londra, aveva prevalentemente vissuto a Caprera. Il nome di Garibaldi,
tanto caro alla memoria democratica del Paese, fu un sicuro richiamo per l’afflusso
dei volontari. Si prevedevano quindicimila uomini, invece se ne presentarono il dop-
pio, per cui fu necessario aprire sei campi di reclutamento e di addestramento: Como,
Bari, Varese, Bergamo, Gallarate e Barletta.
Il 10 giugno Garibaldi, che non aveva personalmente curato l’organizzazione del

