Page 357 - Il Risorgimento e l'Europa - Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario - Atti 9-10 novembre 2010
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               zionari all’ombra delle baionette austriache oppure, qualora fossero rimaste,
               come era avvenuto nel caso di Venezia, nell’orbita della rivoluzione, avesse-
               ro sconfessato l’atto di adesione al Piemonte.
                  Mentre l’esercito sardo che aveva varcato il Ticino nel marzo del 1848 non
               solo non aveva nulla di nazionale, ma era anche il frutto della scelta reazio-
               naria avallata da Carlo Felice nel 1821 e sostanzialmente confermata da Carlo
               Alberto nel suo primo quindicennio di regno, quello che combatté un anno
               più tardi l’infelice campagna, che si concluse con la «fatal Novara», presen-
               tava un assetto che non era più esclusivamente piemontese (otto dei settantot-
               to alti ufficiali alla testa dell’armata erano ‘esteri’: i modenesi Enrico Cialdini,
               Domenico Cucchiari e Fanti, il parmense Ambrogio Berchet e i ‘lombardi’ -
               quanto  all’estrazione  militare -  Giuseppe Fabrici,  Bartolomeo  Rambosio,
               Ernesto de Thannberg e Luigi Torelli) e che inoltre assicurava alcune posizio-
               ni di comando anche ad ufficiali, che avevano alle spalle dei trascorsi rivolu-
               zionari più o meno accesi (non era solo il caso di Cialdini, Cucchiari e Fanti,
               ma anche di alcuni sudditi piemontesi revenants  da esili più o meno lunghi,
               dai fratelli Giacomo e Giovanni Durando, compromessi nei moti del 1831, a
               Ettore Perrone di S. Martino, che diventerà ministro della guerra nel 1848,
               Girolamo Ramorino e Paolo Solaroli, che avevano invece preso parte ai moti
               del 1821).
                  Quando si aprì la campagna del 1859, sei dei sessanta alti ufficiali dell’ar-
               mata  piemontese  erano  dei naturalizzati  ‘sardi’ di origini  ‘estere’ (oltre  al
               tenente generale Fanti e ai maggiori generali Cialdini e Cucchiari, ai quali
               erano affidate tre delle cinque divisioni dell’esercito sardo, tre colonnelli, il
               parmense Enrico Bozzoli e i lombardi Paolo Griffini e Solone Recagni), men-
               tre il comando di un’altra divisione era stato dato al tenente generale Giovanni
               Durando, un indice evidente dell’importanza delle posizioni che gli ex-rivo-
               luzionari avevano ormai conquistato ai vertici dell’establishment militare del
               regno di Vittorio Emanuele II, confermando, tra l’altro, in questo modo il
               carattere strutturale della svolta liberal-nazionale consumatasi nei mesi suc-
               cessivi all’armistizio Salasco, una svolta che aveva anche favorito una pro-
               gressione,  anch’essa di  carattere  strutturale,  della  componente  borghese
               (nell’ordine di battaglia dell’esercito sardo del 1848 i nobili occupavano i tre
               quarti delle posizioni d’élite, anzi più dei quattro quinti se si prendono in
               considerazione anche i borghesi nobilitati, un’aliquota scesa ai tre quinti del
               totale nel 1849 in conseguenza, anche, della parziale italianizzazione dell’ar-
               mata e più o meno rimasta allo stesso livello nel 1859 a causa anche del fatto
               che la coterie che faceva capo ad Alfonso La Marmora, la cosiddetta cama-
               rilla della Venaria, il più influente tra i gruppi di potere alla testa dell’eserci-
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