Page 362 - Il Risorgimento e l'Europa - Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario - Atti 9-10 novembre 2010
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            la regola adottata fu quella di un nomadismo esasperato, che prevedeva che
            ogni anno un reggimento  cambiasse la località,  dove era di guarnigione.
            Ancorché razionalmente giustificato da motivazioni di ordine strategico e in
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            ogni caso come una «precauzione utile e giusta in principio» , il reclutamen-
            to ‘nazionale’ era prima di tutto una confessione di debolezza, certificava che
            l’unificazione militare, pur essendo stata ufficialmente completata nel 1863,
            quando, all’indomani dell’assorbimento di una parte degli ex-ufficiali gari-
            baldini, era stata tenuta in tutto il regno d’Italia una leva in base alla legge
            piemontese del 1854, era ancora assai precaria.
               Non solo la ferma quinquennale adottata nel 1854 trasformava i soldati di
            leva in semiprofessionisti, che non  di rado incontravano non poche difficoltà
            nel momento in cui dovevano riinserirsi nella vita civile (ricordo, tra le altre,
            la testimonianza di un contadino del Cuneese: «mio padre era del 1841, è
            andato a vent’anni da soldato, è tornato che ne aveva venticinque, arrivato a
            casa da soldato non era più capace ad attaccare le briglie ai carri, i cinque
            fratelli lo schernivano, allora lui ha deciso di andare in America») , ma anche
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            e soprattutto la decisione di privilegiare, nei limiti delle possibilità finanzia-
            rie, i volontari ‘ordinari’, ai quali dovevano comunque appartenere, tra l’al-
            tro,  i  sottufficiali,  assicurava  all’esercito  lamarmoriano  e  successivamente
            anche all’esercito italiano, quanto meno fino alla crisi finanziaria del 1864,
            una curvatura professionistica, che apparteneva più alla logica della
            Restaurazione (la leva utilizzata quale un succedaneo più economico di un
            esercito di mercenari, piccolo ma politicamente affidabile) che a quella di un
            esercito nazionale, il quale doveva invece assolvere il compito di valorizzare
            tutte le forze del paese.
               Se nel 1857 un quarto dei soldati dell’esercito piemontese (la percentuale
            salirebbe  al  30% se si facessero  entrare  nel  computo  anche  gli  ufficiali  e
            quindi ci si riferisse alla totalità dei componenti ‘permanenti’ dell’esercito)
            aveva sottoscritto una ferma di otto anni , nel 1863, «quando probabilmente
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            era già iniziato  un certo  regresso, l’ordinanza  (vale  a dire i volontari  con
            ferma di otto anni) rappresentava ancora i due quinti dell’intera bassa forza»



            9  Eugenio Franchini, La scelta del soldato. Considerazioni e proposte sulla coscrizione mi-
               litare in italia, Pisa, Nistri, 1869, p. 192.
            10  Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, I, Torino, Einaudi, 1977, p. 5.
            11  Piero Del Negro, Garibaldi tra esercito regio e Nazione armata: il problema del recluta-
               mento, in Garibaldi condottiero. Storia, teoria, prassi, a cura di fiLippo Mazzonis, Atti del
               convegno nazionale di Chiavari (13-15 settembre 1982), Milano, Franco Angeli, 1984, pp.
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