Page 31 - Atti 2012 - L'Italia 1945-1955. La Ricostruzione del Paese e le Forze Armate
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             il PCI negava (e negherà o minimizzerà per decenni) le atrocità del regime di Tito.
             Anche dopo la fine del ciellenismo, «è tuttavia più che sicuro che in materia di po-
             litica estera il principio dell’antifascismo ha avuto solo dei riflessi negativi, perché
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             ha impedito una valutazione realista degli interessi nazionali» .
                Sul piano internazionale il realista Stalin sapeva bene che l’Italia, conquistata
             dagli anglo-americani, alla fine avrebbe fatto parte del blocco occidentale e acco-
             glieva con freddo scetticismo le professioni e promesse di neutralismo del gover-
             no italiano, in qualche caso un po’ risibili. Ad esempio il presidente del Consiglio
             De Gasperi, i1 14 agosto 1946, si lanciò con il ministro degli esteri sovietico Mo-
             lotov in un’apologia dell’economia dirigista, spiegandogli, «con evidente appro-
             vazione» del suo interlocutore, che poiché il governo controllava «tutto il sistema
             bancario», non era «possibile nessuna immissione di capitale nelle industrie senza
             il controllo del Governo» ed accennando «al progetto attualmente allo studio di
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             nazionalizzazione degli stabilimenti di produzione elettrica» . L’ostilità di Mosca
             era quindi scontata.
                Non era invece per niente sicuro, e men che meno efficace, il sostegno delle
             tre Potenze occidentali. Animati da spirito punitivo i britannici; a parole amici i
             francesi, ma in realtà anch’essi non dimentichi della “pugnalata nella schiena” e
             comunque impegnati a trovare una soluzione ai loro problemi (in primis quello
             tedesco) e per questo alieni dallo scontentare l’URSS. Amici più sinceri gli ame-
             ricani, ma anche loro per nulla disposti a prendere di petto Mosca per compiacere
             l’italia. il ministro degli esteri britannico Bevin si diceva d’accordo di non trattare
             l’Italia «come se Mussolini fosse stato ancora al potere», ma dichiarò pubblica-
             mente di non considerare duro il trattato di pace, tenendo conto dei «danni causati
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             durante il periodo delle aggressioni» , un concetto ripetuto, privatamente e in
             maniera risentita, anche dagli americani.
                Questi ultimi non mancavano di rassicurare i loro interlocutori italiani, ma
             ammettevano tra loro, come l’ammiraglio Stone con Truman fin dal 18 aprile ,
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             di non riuscire a «concretizzare» quella pace «giusta» per l’Italia che dicevano di
             volere. Per il vice-presidente della Commissione Alleata l’italia andava trattata
             non «come un nemico sconfitto, ma piuttosto come un partner nel Mediterraneo».
             Il presidente Truman, che l’ambasciatore Tarchiani (gliene va dato atto) riusciva
             ad avvicinare abbastanza sovente, abbondava in dichiarazioni di amicizia e in

             11  C.  M.  Santoro,  La  politica  estera  di  una  media  potenza.  L’Italia  dall’Unità  ad  oggi,
                Bologna, 1991, p. 188.
             12  Verbale del colloquio, DDI, vol. IV, 13 luglio 1946-1° febbraio 1947, Roma, 1994, n. 150,
                p. 169. Com’è noto la nazionalizzazione delle industrie elettriche fu poi realizzata nel 1962
                ed in effetti l’impronta della Repubblica italiana fu più “sovietica” che liberale.
             13  Cfr. Poggiolini, op. cit., pp. 78-79 e 95.
             14  Foreign Relations of the United States [FRUS],1946, vol. II, Council of Foreign Ministers,
                Washington, 1970, pp. 72-79.
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