Page 40 - Le Operazioni Interforze e Multinazionali nella Storia Militare - ACTA Tomo I
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           ciante posto dal sindaco di Torino, se valga cioè la pena morire per Kabul, può trovare
           vera risposta solo alla luce di questa considerazione, di una considerazione cioè che sia
           capace di dispiegare per intero ciò che la politica è chiamata a fare per la storia. La storia
           quindi, non è muto ripetersi: bene ha fatto il Capo di Stato Maggiore della Difesa a citare
           Giambattista Vico. E non è un ineluttabile progredire, non è una linea retta, che prende
           continuamente le distanze da quel centro di umanità che è l’esperienza della persona, ma
           sviluppa la storia piuttosto un movimento a spirale dove, è vero, le condizioni si ripetono,
           le circostanze addirittura si ripetono: ma pure avanza una visione più vera e più profonda
           dell’agire umano, svelato da una dimensione trascendente, così lucidamente presente a
           coloro che vanno in battaglia. Coloro che vanno in battaglia, uomini tra gli uomini, sanno
           che senza Dio è permesso tutto, e il sanno che a volte abusando del nome di Dio se non
           prevale una più realistica concezione della convivenza civile dell’uomo, dei suoi limiti,
           della sua compassione ancora una volta si permette tutto. Per questo, le operazioni mul-
           tinazionali dipendono certo dal grado di integrazione di efficienza militare, ma ancor più
           dipendono dalla coesione politica, che possa permettersi di arrivare ad affermare una vi-
           sione superiore, non necessariamente coincidente con gli interessi contingenti e nazionali.
           Era un’operazione molto multinazionale l’assedio prima e il sacco di Roma del 1527, fatto
           all’interno di una logica che è la logica imperiale, la logica cioè che doveva mettere sulla
           bilancia della storia il rapporto tra istituzioni consacrate legittimate dal potere divino, e in-
           vece dal volere dei popoli. È stata un’esperienza d’intervento multinazionale l’intervento
           della Comunità delle Nazioni in occasione della Rivolta dei Boxer nel 1911, attraverso le
           quali si legittimava l’accessibilità economico politica del globo e delle prime necessità di
           globalizzazione. È stata un’operazione multinazionale il D-day, che nel momento in cui
           dispiegava la forza, la potenza, la coesione, la capacità di integrazione dell’operazione
           Overlord, nello nello stesso tempo legittimava lo status della storia per i successivi
           settant’anni, perché attraverso l’alternanza bipolare del rapporto di forza tra Stati Uniti
           e Unione Sovietica, si legittimava una pagina intera della storia dell’umanità. Ma è stata,
           finalmente, un’operazione multinazionale con una nuova dimensione una nuova logica
           anche l’evento della Corea, che vede l’Italia riaffacciarsi nel solco non della guerra fine se
           stessa, ma di un intervento in cui l’uso della forza torna preparare le concezioni e le con-
           tingenze della pace. Ed è stata un’operazione multinazionale la difesa dell’indipendenza e
           dell’integrità del Kuwait nel 1991, ben diversa dalla seconda versione di quell’intervento.
              La visione nazionale, la visione imperiale, la visione sovranazionale multilaterale, non
           sono quindi il ripetersi muto della storia, ma l’avanzare della storia verso una concezione
           più adeguate più profonda. Quanta diversa maturità c’è nella presa di coscienza della
           comunità internazionale, quando finalmente decide di intervenire in Bosnia, o apre, tren-
           taquattro anni fa, il tema della interposizione, collocando nel Libano quelle forze che oggi
           hanno forse, come esempio, ben più chiara provvidenza rispetto a quello che può essere il
           deflagrare dei conflitti del Medioriente.
              Le missioni di pace internazionale oggi, devono rispondere quindi necessariamente
           quella domanda: aiutano la pace o favoriscono le guerre? E quale può essere l’ulteriore
           upgrade politico che regga il dispiegarsi di queste missioni internazionali? Il multilatera-
           lismo corresponsabile che scommette sul destino buono per il mondo è qualcosa di più
           della vecchia ragion di Stato. Ed è a questo multilateralismo corresponsabile che dobbia-
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