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154 la neutralità 1914 - 1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
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Luzzatto . In realtà probabilmente il pesante giudizio va in parte ridimensionato:
già Rosario Romeo, pur ritenendo che in quegli anni si fosse verificata una gra-
vissima crisi della nostra economia, faceva notare come proprio in quel periodo
il PIL fosse cresciuto da 58 a 62 miliardi di lire, ma in ogni caso sarebbe assurdo
negare il carattere pesantemente critico dell’economia, dato che le difficoltà in-
vestirono in modo concomitante i più importanti settori del sistema economico,
dall’agricoltura, all’industria, all’edilizia fino alla finanza e alla banca.
La crisi bancaria, la caduta, cioè, dei maggiori istituti di credito del Paese e, an-
cor più, la disonorevole scoperta delle malversazioni che erano avvenute in uno de-
gli istituti di emissione, insieme alla crisi morale che investì le istituzioni e un’in-
tera classe politica pose, paradossalmente, le premesse per una non facile ripresa.
“Maestà, - così Francesco Crispi a re Umberto nel 1892 - l’Italia è in condizio-
ni peggiori di quel che fu il Piemonte dopo Novara.
Il Paese ha perduto la coscienza di sé. Gli si è tolto il coraggio, si è avvilito par-
lando di miserie che non esistono, si è illuso dandogli a credere che solo facendo
economie si poteva pareggiare il bilancio.... Non vi è tempo da perdere...., biso-
gna provvedere subito.... Si sono perduti quindici mesi e si è tutto disordinato; la
Francia ci è nemica più di prima, e le altre potenze o ci sono tiepide o indifferenti.
Noi siamo al di sotto della Spagna.... Se non si provvede subito, se si perdono altri
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mesi ancora senza portar rimedio ai nostri mali andremo incontro ad un disastro” .
Il 23 novembre del 1892 in occasione dell’inaugurazione della XVIII Legisla-
tura il sovrano fece un discorso inusualmente appassionato: dichiarò che si sareb-
be conseguito il pareggio senza aggravio alcuno dei contribuenti, promise riforme
economiche, sociali, scolastiche e giudiziarie e concluse dicendo di accarezzare
l’ambizione di unire il suo nome “al risorgimento economico ed intellettuale del
paese, di vedere questa Italia forte, prospera, colta, grande, quale la vagheggiaro-
no coloro che patirono e morirono per Lei” .
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Tutti obiettivi, questi, che solo una classe politica rinnovata avrebbe avuto la
forza (e il consenso) per compiere: sulla scena politica era apparso un uomo nuo-
vo, al quale venne affidato il governo del Paese: si trattava di Giovanni Giolitti.
Come sempre capita in occasione dei grandi cambiamenti, non riuscì in quel
momento a catalizzare un consenso decisivo. Erano molti a pensarla in questo
modo: “Lo credo incapace di reggere lo Stato. Sarebbe un errore affidargli il Go-
verno del Paese. Non ha studi, non ha esperienza, non ha arte di governo, conosce
4 G. Luzzatto, Il problema della disoccupazione in Italia nei primi settant’anni dell’unità, in La
disoccupazione in italia, in Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla disoccupa-
zione, 1954, vol. IV, tomo 4, p. 10.
5 T. Palamenghi Crispi, Giovanni Giolitti. Saggio storico-biografico, con documenti dell’Archivio
Crispi, Roma, L’Universelle imprimerie polyglotte, 1911, p. 19.
6 Cit. in A. Comandini, L’Italia nei cento anni del secolo XIX, 1801-1900, giorno per giorno
illustrata, Milano, Vallardi, 1922, p. 1.354.

