Page 21 - Il 1916 Evoluzione geopolitica, tattica e tecnica di un conflitto sempre più esteso - Atti 6-7 dicembre 2016
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IntroduzIone e apertura deI lavorI 21
occupata dagli Imperi centrali e dai loro alleati.
L’Esercito Italiano accrebbe la sua forza da un milione di soldati nel 1915 a
un milione e mezzo nel 1916, per arrivare poi a due milioni nel 1917. Uno dei
problemi principali fu la penuria di ufficiali di carriera, con la conseguente neces-
sità di arruolarne di complemento; i dati consultati non coincidono del tutto, ma
non vi è alcun dubbio che gli ufficiali di complemento, della Milizia Territoriale
e di riserva ebbero una crescita enorme. Essi si dimostrarono assai coraggiosi,
pagando un alto tributo di sangue, ma mancavano di adeguato addestramento.
Il confine fissato dopo la guerra del 1866 tra Italia e Austria era strategica-
mente favorevole a quest’ultima. Sul fiume Isonzo, che segnava largamente la
frontiera orientale, nel 1916 furono combattute cinque delle dodici battaglie che
da esso presero nome. Il 15 maggio gli Austriaci lanciarono in Trentino l’of-
fensiva definita Frühjahrsoffensive (Offensiva di primavera) o Südtiroloffensive,
nota in Italia come Battaglia di Asiago o degli Altipiani, ma poi più famosa come
Strafexpedition, ossia “spedizione punitiva” per il tradimento dell’Italia. Circa
300 battaglioni austriaci sostenuti da 2.000 pezzi di artiglieria affrontarono 172
battaglioni italiani con 850 bocche da fuoco. L’offensiva comprese quattro fasi
e terminò in un insuccesso il 18 giugno, dopo che il Capo di Stato Maggio-
re austro-ungarico Generale Conrad von Hötzendorf fu costretto a ritirare dal
Trentino metà delle sue divisioni per contrastare l’invasione russa della Galizia.
L’Italia subì 12.000 caduti, 80.000 feriti, e 50.000 prigionieri. L’Austria ebbe
15.000 caduti, 75.000 feriti, 15.000 tra prigionieri e dispersi.
Anche se fu respinto, l’attacco austriaco offrì l’occasione per un cambio di
governo, motivato dalla generale insoddisfazione per i modesti risultati delle
sanguinose operazioni italiane e dalla necessità di allargare la base di consen-
so. Antonio Salandra, che aveva condotto il Paese alla guerra, fu sostituito dal
78enne Paolo Boselli, anch’egli un liberal-conservatore, che formò un governo
comprendente quasi tutti i gruppi, incluso il cattolico Filippo Meda, il sociali-
sta riformista Leonida Bissolati e il repubblicano Alfredo Comandini (entrambi
massoni), con la sola eccezione del Partito Socialista, la cui posizione ufficiale
verso la guerra era espressa dalla formula «né aderire, né sabotare», coniata dal
Segretario Costantino Lazzari.
Boselli non risolse un problema presente anche in altri Paesi, tanto che il fran-
cese George Clemenceau rispolverò una frase del Principe Charles-Maurice de
Talleyrand-Périgord «la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari»,
ma particolarmente grave in Italia: la mancanza di collaborazione e financo
di comunicazione tra la leadership politica e quella militare. Il Capo di Stato
Maggiore Luigi Cadorna respingeva fermamente qualunque interferenza politica
non solo nella direzione delle operazioni ma anche in tutti gli aspetti riguardanti
l’organizzazione del Regio Esercito, da lui guidato con pugno di ferro. «Io non
voglio commissari civili in zona di guerra; se hanno fede in me mi tengano, al-

