Page 312 - Il 1917 l'anno della svolta - Atti 25-26 ottobre 2017
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             ta d’attacco in forza della loro esperienza di “truppe da montagna”, si lanciarono
             attraverso i varchi verso la selletta tra le due quote. Li seguivano una seconda
             ondata di supporto, nonché una terza ed una quarta composte di pionieri, zap-
             patori e portatori di munizioni: il supporto logistico era così assicurato “azione
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             durante” . Gli alpini, in buona parte ancora raccolti nelle caverne dove avevano
             cercato protezione dal bombardamento, di cui non aspettavano ovviamente una
             fine tanto repentina, non riuscirono ad uscire in tempo, né tanto meno ad organiz-
             zare una difesa. I lanciafiamme d’attacco usati con spietata efficienza e le bombe
             a mano stanarono uno dopo l’altro i plotoni e le sezioni di artiglieria da monta-
             gna chiusi in ricoveri che si erano trasformati in altrettante trappole per topi. I
             pochi che furono in grado e cercarono di opporre resistenza, fra tutti la solitaria
             mitragliatrice che da Q.2101 sparò fin quasi alla fine, vennero presto neutraliz-
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             zati . I reparti di bersaglieri schierati sulla Q.2003 quali riserva in vista di un
             contrattacco erano stati decimati dal tiro iniziale delle artiglierie; secondo una
             testimonianza inedita non uno dei loro ufficiali era rimasto illeso per guidarli in
             soccorso ai difensori. Chi sostiene che a Caporetto la “tattica dell’infiltrazione”
             fu una prerogativa tedesca, facendo al solito il nome del solo Rommel, dimentica
             che ad aprirsi la strada in fondo valle di Plezzo furono gli stessi reparti che ave-
             vano riconquistato l’Ortigara qualche mese prima.
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                Alla fine il numero dei prigionieri fu gioco forza altissimo. Anche perché
             l’artiglieria italiana non poteva arrischiarsi ad intervenire, data l’incertezza della
             situazione ed il timore di infierire sui propri uomini. Nemmeno gli attaccanti
             si azzardarono del resto alla definitiva riconquista e all’occupazione di quella
             sottostante Q.2003, a dispetto della completa “neutralizzazione” che la loro arti-
             glieria aveva messo a segno delle riserve italiane e delle poche perdite subite fino
             a quel momento. A sconsigliare di insistere nell’azione subentrò la convinzione
             che l’esaurimento delle scorte di munizioni per l’artiglieria non avrebbe garanti-
             to il supporto indispensabile. Fu così che ai sacrifici già perpetrati se ne aggiunse
             un altro, non meno glorioso ed inutile: agli alpini del “Cuneo” che l’avevano
             ripreso venne infatti affidata la difesa di un caposaldo che non poteva assoluta-
             mente essere tenuto. Il 29 giugno nuovamente le Sturmtruppen e gli uomini del
             14° Rgt. k.u.k, sotto la guida del Ten. Kern, scattarono nuovamente all’attacco
             dalla sovrastante Q.2101 e si impadronirono della posizione persa il 10 giugno
             precedente dai commilitoni del 37°. Un altro battaglione era stato sacrificato


             28  La relazione del Magg. Forbelsky è analizzata e discussa in Pozzato, Volpato, Dal Molin, Ne-
                mici sull’Ortigara, cit., pp. 291-304.
             29  Si veda Alois Bampi, Rapporto di combattimento sull’attacco a Le Pozze del 25 giugno 1917,
                in KAW, AdTK, 1712: Kaiserschützen Nr. 1.
             30  È questa la linea interpretativa, più volte ribadita, di Alessandro Barbero, Caporetto, Laterza,
                Bari 2017.
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