Page 195 - Il 1918 La Vittoria e il Sacrificio - Atti 17-18 ottobre 2018
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con conseguenze notevolmente migliori al tavolo della pace. Diaz ritenne invece
di attendere ancora una o due settimane, ma le piogge lo costrinsero poi ad at-
tendere oltre un mese affrontando poi la battaglia in condizioni climatiche estre-
me. Avrebbe fatto meglio a rischiare. Ma una tale valutazione possiamo farla, a
cuor leggero, oggi. Quanti, come Caviglia, avrebbero voluto tentarla allora, non
avevano su di sè la responsabilità effettiva di un esercito, e di un Paese, cui era
proibito sbagliare, già provato da troppe offensive e da troppo sangue versato .
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Anche sul piano personale, la sua figura merita forse di uscire dallo stereoti-
po.
Non pretese mai, Diaz, di essere un grande teorico dell’arte militare, né un
grande pianificatore, ma seppe riconoscere chi lo era e seppe servirsene. Il suo
stile di comando era effettivamente umano e informale, tanto da essere scam-
biato a volte per mancanza di carattere, ma nessuno gli disubbidì due volte. Non
lasciò memorie, cosa che fu ritenuta mancanza di cultura e sensibilità storica.
Diaz, come provano le sue lettere, scriveva invece un ottimo italiano, miglio-
re di quello di tutti i suoi colleghi, privo di latinismi inutili e svolazzi retorici.
Occupato a fare il Ministro dopo aver lasciato la guida dell’Esercito, abituato a
molto lavorare e poco riposare, gli mancò probabilmente il tempo di scrivere, e
l’orgoglio gli impedì di firmare un testo scritto da altri. Fu un peccato, perché il
vuoto lasciato dalla sua versione dei fatti, è stato riempito da altri, non sempre a
vantaggio della verità.
L’uomo Diaz, in realtà, emerge dal suo vasto epistolario del tempo di guerra,
dal quale chi ha avuto occasione di esaminarlo ha tratto gli elementi più preziosi
per capire l’uomo e il militare, comprese le sue decisioni successive alla guerra
e la collaborazione col fascismo.
Anche le sue lettere alla famiglia, per altro, hanno dato ad alcuni autori mo-
tivo di ulteriori critiche per il tono sentimentale e il dilungarsi sul proprio stato
di salute, come se per chi ha un parente in guerra ci fosse un argomento più
importante della sua integrità fisica e del suo benessere . Commenti ancor più
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ingenerosi quando si pensi che il generale fu poi tormentato per gli anni che gli
rimanevano proprio da una bronchite cronica contratta in trincea, unico fra i
comandanti supremi a morire per le conseguenze del periodo passato al fronte
fra i soldati.
Basterebbe questo a ricordare il Generale.
12 ISNENGHI MaRIo, RoCHaT GIoRGIo, La Grande Guerra, cit., p. 467.
13 QUIRICo DoMENICo, Generali. Controstoria dei vertici militari che fecero e disfecero
l’Italia, Milano, Mondadori, 2007, pp. 294-295.

