Page 220 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
P. 220
alfonso manzo
Quella sera, il Cap. Seno era a cena in un noto ristorante di Recco (GE), in compagnia
di un amico avvocato e di due signore. Come era abitudine (almeno sino alla diffusione
della telefonia mobile) degli Ufficiali di Carabinieri in servizio operativo, quando si usciva
dalla caserma e non si era in alloggio o a casa, si informava sempre la Centrale Operativa
del luogo in cui ci si sarebbe recati, fornendo il relativo recapito telefonico fisso. Fu così
che il Militare di servizio al Nucleo Investigativo informò del tragico avvenimento il Cap.
Seno il quale, appena metabolizzata l’incredulità della segnalazione, rientrò in caserma
per analizzare il caso con i suoi Collaboratori e individuare le prime azioni di contrasto.
Il sequestro Sossi e la risonanza mediatica dell’evento ebbero un impatto sconvolgente
sull’opinione pubblica locale e nazionale, soprattutto quando arrivò la rivendicazione
delle Brigate Rosse, una formazione terroristica che aveva già firmato azioni dimo-
strative e propagandistiche in ambienti industriali e tra gli operai delle aree metropo-
216 litane di Milano e di Torino. Proprio negli anni che vanno dal 1970 al 1973, si erano
verificati i primi attentati incendiari alla Pirelli e alle autovetture di diversi dipendenti
della Fiat, oltre ai sequestri lampo di Idalgo Macchiarini , dirigente della Sit-Siemens
9
10
di Milano, e di Bruno Labate , Segretario Cisnal di Torino. Nel dicembre 1973,
era stata la volta di Ettore Amerio , Capo del Personale dello stabilimento Fiat di
11
Mirafiori, rimasto nelle mani delle Brigate Rosse per otto giorni. Sino a quegli anni,
gli slogan che gli appartenenti a tale organizzazione terroristica scrivevano sui muri
o riportavano sui cartelli appesi (e puntualmente fotografati) al collo dei sequestrati
erano del seguente tenore: «mordi e fuggi»; «niente resterà impunito»; «colpiscine
uno per educarne cento»; «la lotta armata è la via principale della lotta di classe»;
«potere al proletariato», ecc.
Colte di sorpresa dal sequestro Sossi, le Forze di Polizia avviarono le indagini in modo
frenetico, ma senza una precisa metodologia di lavoro a causa della scarsa conoscenza
del fenomeno terroristico e, in modo particolare, delle Brigate Rosse. Nonostante ogni
sforzo investigativo, non si riusciva a cogliere elementi utili alla risoluzione del seque-
stro, a partire dalla direttrice di fuga degli autori che, ragionevolmente, poteva essere
9 Il 3 marzo 1972, con un sequestro lampo di 40 minuti, viene rapito Idalgo Macchiarini ad
opera delle Brigate Rosse.
10 Verso le 9:15 del 12 febbraio 1973, Bruno Labate, uscito dalla propria abitazione per recarsi
presso la sede del Sindacato, veniva aggredito in strada da un gruppo di persone, percosso alla
testa e spinto con violenza in un furgone. All’interno dello furgone, il Labate veniva bendato,
incappucciato, perquisito, incatenato, infilato in un sacco e tenuto sotto costante minaccia di una
pistola puntata alla gola. Rinchiuso in un covo, venne sottoposto a interrogatorio che verteva
sulla consistenza numerica della Cisnal alla Fiat, sulle collusioni tra tale Sindacato e la dirigenza
dell’azienda, su eventuali assunzioni preferenziali ai segnalati dalla Cisnal e, in generale, sulla
violenza fascista nello stabilimento. Al termine dell’interrogatorio, il Labate veniva rapato e poi
fotografato con un cartello appeso al collo; indi, caricato su un’auto, sempre bendato e con la
bocca chiusa da un nastro adesivo, veniva abbandonato, legato a un palo dell’illuminazione, in
corso Tazzoli dell’abitato, davanti ai cancelli della Fiat (tratto dalla sentenza del 23 giugno 1978
della Corte di Assise di Torino).
11 Il 10 dicembre 1973, Ettore Amerio, Direttore del personale del gruppo auto della Fiat, mentre
usciva dalla propria abitazione e si recava a prelevare la vettura nel garage, veniva aggredito alle
spalle, imbavagliato e trascinato su un furgone della Sip. Poche ore dopo il sequestro, una tele-
fonata all’Ansa consentiva di reperire in una cabina telefonica un volantino, col quale le Brigate
Rosse comunicavano che l’Amerio era «detenuto in un carcere del popolo» ed anticipavano che
il prigioniero sarebbe stato sottoposto a interrogatorio per chiarire «la politica fascista seguita
dalla FIAT». Il 13 dicembre 1973, preannunciato nuovamente da una telefonata all’Ansa, veniva
reso pubblico in Torino un secondo comunicato, al quale era allegata una foto del prigioniero.
Un terzo comunicato, infine, veniva fatto trovare verso le ore 13 del 18 dicembre, giorno in cui
l’Amerio veniva liberato e abbandonato dai suoi rapitori su una panchina di un giardinetto
antistante l’Ospedale Molinette di Torino (tratto dalla sentenza del 23 giugno 1978 della Corte
di Assise di Torino).