Page 386 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo
Quel giorno, mentre il neo Prefetto era in volo da Roma a Palermo, il suo pensiero
torna alla amatissima moglie Dora e ai suoi tre figli:
Miei cari ragazzi,
le circostanze hanno condotto il Governo nazionale a far sì che io uscissi dalle file attive
dell’Arma e dalla sua massima carica, prima ancora che i tempi previsti giungessero
alla loro scadenza. Se da un lato sono onorato di tanta fiducia – che in qualche modo
tocca anche la “nostra” famiglia –, dall’altro avverto, nel trauma spirituale del deli-
cato momento, una somma di sentimenti che, nel loro intimo tumultuare, non fanno
che ripropormi, prepotente e cara, l’immagine stupenda di mamma! So bene – e da
sempre – quanto Le debbo nel succedersi delle tappe che mi hanno portato avanti in
questi ultimi quarant’anni e quanto […] noi tutti Le dobbiamo. Mi sembra ieri, quan-
382 do, partendo da Firenze nell’agosto 1949 quale volontario per le squadriglie contro
il banditismo (allorché le ripetute interpellanze erano da tutti respinte), mamma – al
settimo mese di Fernando – versò alla Stazione di S. M. Novella le sue prime lacrime;
ma nulla fece perché il suo Carlo, di cui voleva essere orgogliosa innanzi a chiunque,
rinunziasse alla sua fede e al suo entusiasmo. Vidi Nando che aveva ormai nove mesi e
dopo che, nel febbraio 1950, me ne aveva mandato una fotografia. Sacrifici, rinunzie,
ansie, tormenti, anche le soddisfazioni e le gioie – molte delle quali legate al vostro
divenire – segnarono il viaggio stupendo che potei compiere al suo fianco […]. Scusa-
te, miei cari, se sono stato un po’ lungo. Vi voglio bene, tanto, ed in questo momento
vi chiedo di essermi vicini, così come nei mesi e negli anni che verranno. Vogliatevi
soprattutto e sempre il bene di ora! Quanto vi ho scritto, l’ho fatto a 7-8000 metri di
altezza, in cielo, mentre l’aereo mi portava veloce verso Palermo; dietro mi lasciavo,
con gli alamari, la giornata di Pastrengo […].
Vi abbraccio forte, forte.
Il vostro papà.
L’evoluzione tumultuosa, a volte concitata, di quei 123 giorni è molto ben descritta
dal Prefetto Antonella De Miro in una recente rievocazione dell’eccidio di via Carini:
Lo scorrere inesorabile del tempo dal 1° maggio 1982 fino alle ore 21,10 del 3 settembre,
ho voluto declinare in un racconto in cui Carlo Alberto dalla Chiesa rivive attraverso
le sue stesse parole, ritrovate in documenti, pagine di diario, articoli di stampa.
123 giorni in cui si compie e si consuma il destino di un grande uomo dello Stato. Un
uomo coraggioso, tenace, oggi giustamente assurto a mito della responsabilità, del
senso del dovere, della difesa senza se e senza ma della Costituzione, delle leggi dello
Stato, delle libertà democratiche, fino al sacrificio di sé, perché “esiste un patrimonio
da trasmettere fatto di sacrifici e di rinunce ma anche di qualcosa che si è costruito per
gli altri. Per poter guardare in viso i nostri figli senza doverci rimproverare qualcosa”.
Il Governo, messo alle corde da una montante opinione pubblica spaurita per una sem-
pre più crescente aggressività della mafia, eversiva dell’ordine democratico, si affida a
lui, assurto a simbolo di uno Stato capace e vincente nella lotta al terrorismo, all’apice
della considerazione e dell’affetto di tutto il Paese.
Dalla Chiesa non può sottrarsi, è un servitore dello Stato, ma pone una condizione al
presidente del Governo, Giovanni Spadolini, che fosse chiaro il mandato e che fossero
chiare le competenze.
Invece, l’uccisione di Pio La Torre accelera il corso della storia e porta Carlo Alberto
dalla Chiesa, inesorabilmente, verso il suo destino, nudo, indifeso, privo dei poteri
richiesti, promessi e inutilmente sollecitati.

