Page 83 - Conflitti Militari e Popolazioni Civili - Tomo I
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          ranta giorni tra l’offesa ricevuta e l’apertura delle ostilità. Queste disposizioni, come oggi le
          risoluzioni dell’ONU, non erano sempre rispettate, e valevano solo nelle guerre tra cristiani,
          ma chi le violava sapeva di esporsi a severe sanzioni, materiali e spirituali . «in non poche
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          regioni, − scrive Philippe Contamine  − i secoli centrali del Medioevo beneficiarono così, se
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          non proprio di una totale scomparsa, almeno di una durevole marginalizzazione della guerra;
          e quand’anche essa aveva luogo, i suoi effetti erano più “canalizzati”». «Les modalités de
          la guerre courtoise», anche per il tipo di armi, di difese e di tattiche impiegati portavano a
          scontri relativamente incruenti e cavallereschi, almeno tra cristiani .
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          la successiOne dei tiPi di guerra in ePOca MOderna e cOnteMPOranea
             Proprio  all’inizio  dell’età  moderna,  nelle  guerre  del  secolo  XVI  e  della  prima  metà
          del XVII, si assistette ad un inasprimento dei conflitti armati, dovuto sia alla «rivoluzione
          militare» , con la diffusione della polvere da sparo, di nuove armi e di nuovi modelli orga-
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          nizzativi, sia all’elemento ideologico costituito dai conflitti religiosi innescati dalla riforma
          protestante. Dopo la Pace di Westfalia del 1648, la guerra ritornò però entro limiti più con-
          tenuti, ancora una volta per ragioni sia tecniche sia “ideologiche”. Gli eserciti professionali
          del XVIII secolo costituivano un bene prezioso, che i comandanti erano riluttanti a rischiare
          in battaglie campali decisive . L’organizzazione e la logistica degli eserciti professionali
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          consentivano di realizzare largamente il proposito di Federico ii di Prussia: «i sudditi non
          devono accorgersi quando il sovrano fa la guerra». Le guerre del XVIII secolo durarono,
          in media, solo un anno; la guerra dei sette anni (1756-1763) fu definita così proprio perché
          costituiva un’eccezione vistosa a tale regola.
             la Realpolitik evitava ogni demonizzazione del nemico e poteva portare ad un conflitto
          senza odio . La guerra non mirava all’annientamento dell’avversario poiché esso poteva
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          essere l’alleato di domani: in un’Europa politicamente omogenea, che aveva l’equilibrio di
          potenza come supremo principio regolatore, il rovesciamento delle alleanze era una strategia
          diplomatica accettata ed apprezzata. Allo stesso tempo, nei secoli XVIII e XIX, essendo ve-
          nuto meno il riconoscimento internazionale del Magistero della Chiesa e prevalendo invece il
          concetto, di derivazione machiavellica, che la sovranità legittimi in ogni modo l’azione dello
          Stato, furono accantonate le discussioni sulla «guerra giusta» per tutti gli aspetti relativi allo

          11   R. Pernoud, Lumière du moyen age, Paris, 1944, pp. 91-93.
          12   Questa frase appare solo a p. 13 dell’Introduzione all’edizione italiana (P. Contamine, La guerra nel Me-
              dioevo, Bologna, 1986; l’edizione originale francese è La Guerre au moyen όge, Paris, 1986). Di tale opera,
              per il nostro argomento, va visto tutto il capitolo IX (X nell’ed. it.), nel quale si trova una descrizione più
              articolata e problematica di quanto esposto in maniera sintetica e divulgativa dalla Pernoud.
          13   Cfr. La Guerre au moyen όge, cit., pp. 414-15.
          14   Cfr. il classico G. Parker, The military revolution: military innovation and the rise of the West, 1500-
              1800, Cambridge, 1988.
          15   «I do not favour pitched battles, especially at the beginning of a war, - scriveva nel 1732 nelle sue Rêveries
              de Guerre il Maresciallo Maurizio di Sassonia – and I am convinced that a skilful general could make war all
              his life without being forced into one» (cit. in M. Howard, La guerra e le armi nella storia d’Europa, 1976],
              p. 71).
          16   «Non è il sentimento dell’odio, ma una situazione di diritto a qualificare qualcuno come nemico dello Stato»
              (B. Spinoza, Trattato teologico-politico, in Etica e Trattato teologico-politico, a cura di R. Cantoni e F. Fer-
              gnani, Torino, 1980,  p. 655).
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