Page 84 - Conflitti Militari e Popolazioni Civili - Tomo I
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84                                XXXIV Congresso della CommIssIone InternazIonale dI storIa mIlItare • CIHm

           jus ad bellum. il diritto internazionale «has ... no alternative ... but to accept war, independ-
           ently of the justice of its origin, as a relation which the parties, may set up if they choose −
           scriveva nel 1880 un giurista inglese  − and to bury itself only in regulating the effect of the
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           relation». Ancora nel 1915 Benedetto Croce scriveva che la «guerra scoppi o no, è tanto poco
           morale o immorale quanto un terremoto», i cittadini non hanno «altro dovere morale che di
           schierarsi … alla difesa della patria», solo «una falsa ideologia, un sofisma di letteratucci può
           tentar di surrogare a questi concetti semplici e severi la ideologia del torto e della ragione,
           della guerra giusta e della guerra ingiusta» .
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              A cavallo tra XVIII e XIX secolo, la rivoluzione francese aveva fatto però assumere nuo-
           vamente alla guerra un carattere totalitario, con la levée en masse e la strategia napoleonica
           imperniata sullo scontro campale decisivo, e ideologico, attraverso la proclamazione della
           crociata rivoluzionaria. «Il faut déclarer la guerre aux rois ei la paix aux nations!», esclamò il
           deputato Merlin de Thionville in occasione della dichiarazione di guerra del 20 aprile 1792;
           «paix aux chaumières, guerre aux châteaux!», scrisse il filosofo e scienziato Condorcet . tali
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           affermazioni non portarono però a risparmiare le popolazioni, anzi la guerra rivoluzionaria
           provocò la guerra civile all’interno della Francia (con il suo culmine in Vandea) e nei paesi
           invasi, dove gli eserciti francesi trovarono alleati, ma soprattutto oppositori, gli insorgenti
           cattolici e monarchici , uno schema destinato a ripetersi nella seconda guerra mondiale, con
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           collaborazionisti e partigiani antinazisti, e che si sarebbe ripresentato se la guerra fredda fosse
           diventata calda e gli eserciti sovietici avessero invaso l’Europa occidentale, trovando com-
           pagni di strada, ma anche combattenti anticomunisti. anche nelle epoche passate i Sovrani
           avevano talvolta appoggiato sudditi ribelli a Principi con i quali erano in guerra, ma ciò era
           avvenuto con scrupoli morali e senza connotazioni ideologiche . Dopo il 1815 la fedeltà al
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           proprio Stato, dinastica e/o nazionalistica («With God, for King and Fatherland», il motto
           della Landwehr prussiana, può essere considerato la risposta conservatrice alla rivoluzionaria
           «nation armée») fece considerare semplicemente traditori coloro che si affiancavano al nemi-
           co . Le «internazionali» nazifascista e comunista riproposero poi il problema della «doppia
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           fedeltà», al proprio Stato o alla propria ideologia. Il problema se l’insorgente, il partigiano, il
           guerrigliero sia a pieno titolo un combattente legittimo non è facilmente risolvibile in termini
           puramente giuridici: «una normativa intorno al problema del partigiano è giuridicamente im-


           17   Cit. in J. Keegan, A History of Warfare, London, 1993, p. 383.
           18   B. Croce, Pagine sparse, Serie seconda, Pagine sulla guerra, raccolte da G. Castellano, Napoli, 1919, pp.
               86-87.
           19   J. Tulard-J.-F. Fayard-A. Fierro, Histoire et dictionnaire de la Révolution française, Parigi, 1987, pp. 91-
               92.
           20   Per un’introduzione alle insorgenze sul piano europeo cfr. J. Godechot, La controrivoluzione. Dottrina e
               azione (1789-1804), Milano, 1988 [I ed. francese, 1961]; per l’Italia l’opera migliore e più completa è M.
               Viglione, Rivolte dimenticate. Le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Roma, 1999.
           21   Cfr. E. Luard, The Balance of Power. The System of International Relations, 1648-1815, london, 1992, pp.
               125-26; per la pratica diplomatica cfr. anche M. S. Anderson, The Rise of Modern Diplomacy 1450-1919,
               New York, 1993.
           22   «Loyalty to the Crown was always to some degree contractual: an evil prince could be disowned, allegiance
               could be renounced or limited. But how could this be done with a Nation which was simply you and your
               own general will?» (M. Howard, The causes of wars and other essays, London, 1983, p. 26).
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