Page 86 - Conflitti Militari e Popolazioni Civili - Tomo I
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86 XXXIV Congresso della CommIssIone InternazIonale dI storIa mIlItare • CIHm
riconosciuto aggressore dalla Società delle Nazioni. in alcune pagine illuminanti del 1932 e
del 1938 Carl Schmitt sottopose tale patto e la Società delle Nazioni ad una serrata critica,
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prevedendo che i loro effetti sarebbero stati non la rinuncia all’uso della forza nelle relazio-
ni internazionali, ma semplicemente la scomparsa delle dichiarazioni di guerra e che «un
imperialismo fondato su basi economiche cercherà naturalmente di creare una situazione
mondiale nella quale esso possa impiegare apertamente, nella misura che gli è necessaria, i
suoi strumenti economici di potere, come restrizione dei crediti, blocco delle materie prime,
svalutazione della valuta straniera e così via. Esso considererà come “violenza extraecono-
mica” il tentativo di un popolo o di un altro gruppo umano di sottrarsi all’effetto di questi
mezzi “pacifici”».
L’osservazione più penetrante di Schmitt fu però quest’ultima: «Se uno Stato combatte
il suo nemico politico in nome dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una
guerra per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario, di
un concetto universale per potersi identificare (a spese del suo nemico) ... L’umanità è uno
strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella sua forma etico-
umanitaria, un veicolo specifico dell’imperialismo economico. A questo proposito vale, pur
con una modifica necessaria, una massima di Proudhon: chi parla di umanità, vuol trarvi in
inganno» . Sul punto va citato un’ultima volta Schmitt, che nel 1929 scriveva: «Ormai co-
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nosciamo la legge segreta di questo vocabolario e sappiamo che oggi la guerra più terribile
può essere condotta solo in nome della pace» . erano le lontane origini di una neolingua di
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stampo orwelliano, già manifestatasi nel 1914 con lo slogan, summa delle illusioni (o ipocri-
sie?) idealiste, di H. G. Wells sulla «the war to end war» e culminata nel 1999 nell’ossimoro
della «humanitarian war» .
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La condanna morale della guerra fu ancora maggiore dopo il secondo conflitto mondiale,
anche per le immani devastazioni prodotte. terrorizzare ed uccidere civili attraverso i bom-
bardamenti aerei era stata una delle tattiche impiegate; le azioni della resistenza partigiana e,
soprattutto, la sua repressione avevano coinvolto pienamente le popolazioni civili. la rimo-
zione dell’uso della forza militare dall’orizzonte delle opzioni possibili fu comunque molto
più forte nei paesi sconfitti, Germania, Giappone ed Italia, che in quelli vincitori. Una guerra
generale fu comunque resa impossibile soprattutto dall’equilibrio del terrore, la mutual assu-
red destruction . La guerra in Europa fu solo «fredda». Il Vecchio Continente fu in pace per
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45 anni; ma tale periodo non fu altrettanto pacifico fuori dei suoi confini, dove i due blocchi
si scontrarono nelle cosiddette «guerre per procura», dalla Corea al Vietnam, alle molteplici
guerriglie comuniste. Mentre in Europa si combatteva una guerra finta, «ricca e astratta»,
28 C. Schmitt, Il concetto di ‘politico’ e Sulla relazione intercorrente fra i concetti di guerra e di nemico, ora in
id., Le categorie del ‘politico’, cit., pp. 101-65 e 193-203.
29 Schmitt, Il concetto di ‘politico’, cit., p. 139.
30 C. Schmitt, L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni, ora in id., Le categorie del ‘politico’, cit.,
p. 182.
31 Cfr. M. Howard, War and the liberal conscience, Oxford, 1981 [serie di lezioni dedicate alle aporie del pa-
cifismo liberale], p. 74.
32 Cfr., per brevità, M. de Leonardis, The Cold War as Total War: the Interaction of Military Strategies and
Diplomacy from “Massive Retaliation” to “Flexible Response”, in The Total War. The Total Defence, 1789-
2000, Acta of the XXVI International Congress of Military History, Stockholm, 2001, pp. 383-94.
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