Page 91 - Conflitti Militari e Popolazioni Civili - Tomo I
P. 91

91
          aCta
          dotato di carisma, ma non troppo autoritario, e in grado di realizzare riforme, nella speranza,
          spesso illusoria, di eliminare le ragioni di malcontento su cui facevano leva i guerriglieri
          rivoluzionari . La guerriglia ovviamente puntava ad eliminare, soprattutto nei villaggi, i fun-
                     50
          zionari locali più efficienti ed onesti, in modo da costringere ad impiegare personaggi inca-
          paci e corrotti, che avrebbero provocato discredito all’amministrazione. Occorreva, come si
          disse, vincere i cuori e le menti delle popolazioni indigene e questo era talvolta in conflitto
          con le esigenze militari. Se la guerriglia agiva come un pesce nell’acqua, secondo l’espres-
          sione del Generale Giap, bisognava togliergli l’acqua, ma senza provocare troppe perdite tra
          la popolazione, presa tra i due fuochi delle rappresaglie della guerriglia e della repressione
          del governo. La guerra già allora iper-tecnologica che volevano combattere gli americani
          per ridurre le loro perdite spesso non permetteva di raggiungere tale obiettivo: un villaggio
          distrutto dal napalm difficilmente era un buon viatico per conquistare appunto i cuori e le
          menti. «Era stato necessario distruggere il villaggio per poterlo salvare», fu la paradossale
          dichiarazione di un maggiore dell’Esercito americano, al termine di uno scontro nella città di
          Bčn Tre, sul delta del Mekong . Un problema questo che si ripresenta oggi.
                                   51
             in Vietnam si videro la combinazione tra «illusione tecnologica» e debolezza morale che
          portò gli americani alla sconfitta e la dicotomia tra la guerra tecnologica dell’Occidente, che
          vuole minimizzare i rischi per i propri uomini in divisa, e le guerre «sporche» delle tribù,
          delle etnie e dei gruppi politici e religiosi dell’«altro mondo». Commentando quel conflitto,
          uno storico ha scritto: «Il pensiero militare dell’Occidente è giunto addirittura a concepire
          l’utopia di una guerra in cui sia possibile far combattere, in pratica, solo le macchine, con
          appena qualche decina di uomini al loro servizio». Già in Algeria e Indocina, negli anni ’50 e
          ’60 vi era stata la crisi delle fanterie, antico nerbo di tutti gli eserciti, a causa della «crescente
          incapacità dei popoli dell’Occidente di fare i conti con la dimensione della fatica fisica, del
          sacrificio ed infine della morte, che invece è propria delle società pre-industriali» , e francesi
                                                                             52
          ed americani avevano dovuto affidarsi a corpi speciali, Legione Straniera o Berretti Verdi.
             Contro le guerriglie successive alla seconda guerra mondiale, peraltro, i britannici conse-
          guirono significativi successi , il più importante in Malesia, seguendo una strategia politico-
                                  53
          militare basata su collaborazione con le autorità indigene conservatrici, massimo rispetto per
          le culture e le tradizioni locali, aiuti economici e sostegno amministrativo per eliminare il mal-
          contento, addestramento delle forze regolari amiche, uso limitato di aviazione ed artiglieria
          per evitare vittime tra i civili dei quali si ricercava l’appoggio, alto livello di combattività delle

          50   In realtà «Le stratège révolutionnaire ne cherche pas la solution des problèmes qu’il dénonce. Sa dénoncia-
              tion a le double rôle de lui donner un statut et de jeter de l’huile sur le feu. Pour cette raison, l’illusion serait
              de penser qu’apporter une réponse au problème ponctuel objet du débat muffirai à désamorcer la subversion»
              (E. Langlois, Guerre classique et guerre révolutionnaire: l’illusion de la différence, in Stratégique, n. 85,
              2005, p. 11).
                                                                           th
          51   Cfr. G. C. Herring, America’s Longest War. The United States in Vietnam 1950-1975, iV  ed., New York,
              2002, p. 233.
          52   Galli della loggia, Il mondo contemporaneo ..., pp. 266-68 (tutto il cap. VII, L’Occidente alla guerra, è di
              grande interesse). Il soldato occidentale, grazie ai moderni sistemi d’arma, cerca di «non venire a contatto
              con gli spargimenti di sangue» (Qiao Liang-Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asim-
              metrica fra terrorismo e globalizzazione, Gorizia, 2001. p. 75 [I ediz., Pechino,1999; La guerre hors limi-
              tes, traduit du chinois et annote par H. Denes, Paris, 2006].
          53   Per una sintetica esposizione cfr. J. Pimlott (ed.), British Military Operations 1945-1984, Londra, 1984.
   86   87   88   89   90   91   92   93   94   95   96