Page 202 - L'Italia in Guerra. Il secondo anno 1941 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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Semmai sarebbe stato necessario distinguere tra spinte espansionisti-
               che comuni a molte nazioni e forma interna di governo. Ma la Carta Atlan-
               tica e le  dichiarazioni di  principio anglo-americane successive  al giugno
                1941 non revocarono mai esplicitamente in dubbio che l'Unione Sovieti-
               ca fosse a sua volta un sistema politico democratico, anche se non era af-
               fatto  ignoto il vero mandante dell'assassinio di Trotsky e sullo sterminio
               delle opposizioni all'interno dell'URSS si  disponeva, in Occidente, di già
               copiosa  informazione e  documentazione.

                    La  priorità della lotta armata contro le  potenze del Patto tripartito
               si tradusse dunque nella concessione di un credito di democracità all'Urss,
               molto più importante e di durevole effetto di una qualunque legge "affitti
               e prestiti". La dittatura staliniana venne infatti abilitata a sedere, con pa-
               tenti di pari dignità democratica,  accanto ai  rappresentati di Stati Uniti
               d'America e Regno Unito.  Questi ultimi sapevano bene che si trattava di
               un imbarazzante equivoco e che,  prima o poi, la storia avrebbe ripropo-
               sto il confronto tra democrazia e totalitarismo.  Nondimeno -  come sa-
               rebbe stato ribadito il l  dicembre 1943, a conclusione della conferenza
                                      0
               di Teheran -   i 'tre grandi' dichiararono di perseguire obiettivi identici
               "nella guerra  e  nella  pace  che  ad  essa  farà  seguito".
                    Siffatte posizioni ripristinarono pertanto il principio "niente nemici
               a  sinistra"  e ricondussero  a  quell'unità d'azione che  di fatto  poneva gli
               antifascisti di tradizione liberaldemocratica e liberalsocialista -  meno or-
               ganizzati e meno proclivi all'impiego di metodi "dialettici" di lotta- al-
               la mercé o quanto meno in posizione subalterna rispetto ai comunisti, che
               avevano alle spalle il peso dell'Urss. Rimasero pressoché isolate le voci di
               quanti -  come Giuseppe Prezzolini, don Luigi  Sturzo  e Gaetano Salve-
               mini -  dall'altra sponda dell'Atlantico depreca vano la collaborazione con
               la collaborazione con i comunisti,  in qualsiasi modo, per non cadere nel
               latino  "propter vitam,  vivendi perdere causam",  cioè per non sacrificare alla
               radice l'irrinunziabile ancoramento ai capisaldi di libertà politica e di de-
               mocrazia  in  nome  dei  quali  si  combatteva contro  Mussolini  e  Hitler  e,
               a  loro  avviso,  si  sarebbe  dovuto  continuare a  combattere altresì  contro
               il totalitarismo stalinistico, invece corteggiato soprattutto da chi aveva molto
               da  far  dimenticare.
                    La sottovalutazione delle riserve nutrite contro il totalitarismo sovie-
               tico da parte di molti italiani lealisti non fascisti,  preoccupati delle sorti
               riservate al proprio Paese nelle ultime fasi di una guerra che si prospetta-
               va ormai come perduta, non concorse ad agevolarne il transito nel campo


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