Page 200 - L'Italia in Guerra. Il secondo anno 1941 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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L'attacco germanico all'URSS mise anche fine alle non sopite pole-
miche in corso, soprattutto nelle file dei comunisti da più anni detenuti
in carcere in Italia e pertanto meno debitori nei confronti delle direttive
tattiche del Komintern. Esso consentì di passare rapidamente un colpo
di spugna sulle divisioni riacutizzatesi nei confronti di antifascisti di altra
ascrizione (socialisti, giellisti...), con i quali si poteva tornare al "fronte
comune" o quanto meno all'unità d'azione contro il nazifascismo. Se da
un canto la difesa dell'Unione Sovietica tornava in primo piano quale obiet-
tivo della lotta, non meno evidente risultava che scopo ultimo della guerra
era però anche il ripristino di una democrazia che non poteva più identi-
ficarsi con il comunismo in un Paese unico, rivelatosi troppo esoso, sul
piano politico-ideologico e, ancor più su quello pratico. Riprendere la lot-
ta contro il nazifascismo per i comunisti italiani significò anche rafforzare
la propria autonomia dall'Unione Sovietica e dalla forzata identificazione
del socialismo con lo stalinismo: processo lento e non unilineare, ma fon-
damentale per le sorti della democrazia in un Occidente i cui tradizionali
pilastri liberaldemocratici e riformistici non potevano più essere liquidati
come "imperialisti" o "socialfascisti", come sostenuto dai comunisti ne-
gli anni Trenta. All'unità d'azione con l'estrema sinistra i democratici tor-
narono a loro volta più liberi dal "prejujé favorable" filocomunista tipico
del Fronte Popolare e meno condizionati dal principio, precedentemente
pressoché assiomatico e intangibile, "pas d'ennemis à gauche". Gli eventi
avevano infatti provato che la dittatura del proletariato era non meno ro- ·
vinosa, per un'autentica democrazia, di quella fascista. La travolgente avan-
zata delle armate hitleriane, accolte come 'liberatrici' in molte regioni
dell'URSS, pose del resto in evidenza che, malgrado lo sterminio e la de-
portazione dei piccoli proprietari contadini e le "grandi purghe" avviate
a ritmo serrato dal 1937, il comunismo non era affatto penetrato nel tes-
suto della società russa, contrariamente a quanto asseriva la propaganda
del Komintern. Taluno si spingeva a ritenere che, stretto dal bisogno, il
socialismo sovietico si sarebbe rivelato meno impermeabile ai principì di
democrazia pluripartitica propri della tradizione occidentale. Anche mol-
ti ex militanti comunisti interpretavano quale previsione di un processo
generale la loro esperienza personale e, da posizioni che per comodità pos-
siamo definire di 'terza forza', incoraggiavano l'unità d'azione fra comu-
nisti e socialisti, nella fiducia - alimentata dalla fede nella "dialettica della
storia" -che i primi avrebbero finito per assorbire i germi di libertarismo
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