Page 577 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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               preciso frangente, e non per molto tempo ancora, la spinta iniziale fu quella:
               le critiche e le posizioni personali intervennero soltanto dopo, quando ognu-
               no poté ricostruire, almeno approssimativamente, quello che era realmen-
               te successo. Che tale fosse in effetti il nodo centrale della questione, è provato
               dalle preoccupazioni dello stesso  Mussolini,  il quale, appena rientrato in
               Italia, giudicò opportuno pubblicare un articolo intitolato Per quale dei due
               Re giuraste.

                    La geografia ed il caso, ma anche le tradizioni di ogni singolo reparto
               e le  storie  regionali,  persino  cittadine,  produssero  immediatamente  quei
               forti sbilanci tra zona e zona che sarebbero più o meno durati eguali an-
               che nei  successivi venti mesi:  attorno al  20 settembre  1943, si  potevano
               forse contare in tutta l'Italia occupata 1500 maquis, un terzo dei quali for-
               mato  da prigionieri liberati dai  campi,  e gli  altri  due terzi  da ufficiali  e
               soldati,  con  una  ridottissima  rappresentanza  di  politici  e  civili.
                    Tale embrione era dislocato quasi interamente al nord, per oltre 1000
               uomini, la metà dei quali in Piemonte, dove lo  scioglimento della IV Ar-
               mata in rientro dalla Francia e la  natura dei luoghi,  oltreché le  maggiori
               tradizioni militari, avevano favorito il costituirsi più rapido di piccoli gruppi
               valligiani. Ma questo significa che nella vasta area della Lombardia, delle
               tre Venezie e dell'Emilia, come del resto in quella al sud della linea appen-
               ninica,  questo  moto  spontaneo,  più che  marginale  era  inesistente. A  tal
               proposito occorre comunque ricordare -  lo si è detto -  che un gran nu-
               mero di militari sbandati poté scegliere con buona libertà soluzioni radi-
               cali, come l'internamento in Svizzera o,  nel sud, la  filtrazione,  attraverso
               le  nebulose  linee  tedesche,  in  direzione  delle  proprie  case  meridionali.
                    Sul piano politico, è fuor di dubbio che Pietro Nenni lanciò da Ro-
               ma l'idea dei Comitati di  Liberazione Nazionale già il  10 settembre.  Ma
               su quello storico è altrettanto fuor di dubbio che la loro effettiva compar-
               sa fu lentissima, sporadica e puramente nominale. Chiunque abbia vissu-
               to da adulto quel periodo turbinoso sa quale mortale collasso avesse colpito
               l'intero sistema delle comunicazioni, della distribuzione, della stessa pub-
               blica informazione: i giornali erano ridotti ad un solo foglio,  la radio fun-
               zionava a singhiozzo, la dispersione della famiglie in campagna per effetto
               dei bombardamenti, il collasso  della  rete telefonica, tutto aveva  ridotto a
               zero  la  possibilità di  dare e  ricevere  ordini,  e  persino  quella  di  mettere
               insieme informazioni attendibili sulla dislocazione, entità e necessità delle
               bande di montagna. L'unico sistema arterioso di cui ci  si  poté valere, ma
               soltanto  a  partire  dall'inizio  del  1944,  e  non  in  tutte  le  zone,  fu  quello









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