Page 254 - L'Italia in Guerra. Il sesto anno 1945 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1945-1995)
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                   Con eccezioni  politicamente irrilevanti,  i  CLN manifestarono  dun-
               que un orientamento globalmente e compattamente repubblicano o, quanto
               meno, di netta, severa condanna della pretesa collusione fra Vittorio Ema-
               nuele  III  e  il  regime.
                   In tal modo, mentre Mussolini e,  in generale, la Repubblica Sociale
              Italiana, mettevano la Corona sotto accusa per la cosiddetta ''congiura di
               palazzo"  del  25  luglio  1943,  i  partiti  antifascisti  antimonarchici  a  loro
              volta  dilatavano le  ragioni  della  condanna della  Corona,  identificandola
               con l'intero ventennio fascista.  Né mancava chi deduceva la necessità sto-
               rica del rovesciamento della monarchia dal - si diceva - mancato sbocco
               democratico del Risorgimento e dell'unificazione nazionale, risoltasi a lo-
               ro dire in sabaudizzazione forzata dell'Italia anziché nell'avvento della re-
               pubblica predicata da Giuseppe Mazzini o della federazione auspicata da
               Carlo Cattaneo. Anche un "indipendente" quale Alfredo Pizzoni, designato
               presidente  del  CLNAI  proprio  per la  sua  estraneità ai  partiti,  oltre  che
               figlio  di un generale di brigata della grande guerra ed egli stesso valoroso
              ufficiale, giudicava "tutti pavidi, tutti incerti" Badoglio e i suoi consiglie-
               ri,  il  re  e  i  suoi  familiari:  accomunati  pertanto in  una  condanna  che  si
              traduceva nella previsione (o auspicio) del mutamento istituzionale. In ta-
              li  convincimenti Pizzoni si  confermò nel corso della missione nel Mezzo-
              giorno  (novembre-dicembre  1944) volta  a  ottenere  il  "riconoscimento"
               del  CLNAI  e  del  CVL  da  parte  del  governo  nazionale  e  degli  anglo-
              americani. Ricevuto, con gli altri delegati dal capo del governo lvanoe Bo-
               nomi, Pizzoni ne registrò l'abissale lontananza dalla guerra di Liberazione
              in corso nell'Italia settentrionale: "A Roma non avevano lottato- egli scrisse
              - si  erano semplicemente preparati alla  conquista del potere politico,  si
              erano attribuite tutte le  possibili cariche pubbliche e senza avere il mini-
              mo  potere effettivo  e  senza  nessuna  autorità presso gli  Alleati  (questo è
              un fatto preciso) giocavano, si trastullavano a fare i ministri, i sottosegre-
              tari, i più o meno alti commissari, ecc.", sprofondando in  "meschinissi-
               me lotte". La severa condanna della nascente partitocrazia, dilagante prima
               ancora che i suoi attori avessero  conseguito posizioni di effettivo potere,
               non comportava però per Pizzoni alcuna  rivalutazione della  Corona,  in-
               fatti  assente  dalle  pur sobrie  e vaghe  sue visioni  del  dopoguerra.  Dopo
              l'insediamento nel ruolo di Luogotenente del Regno (e non "del Re" quale
               sarebbe dovuto essere) sia per effetto del decreto emanato da Vittorio Ema-
               nuele III, sia ai sensi dello Statuto), il principe Umberto nei mesi di giugno-
               luglio  1944 subì in effetti una serie di arbitrarie violazioni degli equilibri








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