Page 97 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia  95

                    gli occhi e il naso, e sempre l’inutile attesa. Il sottotenente morto dorme accan-
                    to a me immobile e indifferente, e invidio quel suo sonno irrevocabile senza la
                    visione del crollo enorme, lui morto nella rabbia del contrattacco quando una
                    certezza di vittoria dirige gli atti temerari.
                      E fame, e sete, e il freddo notturno che ci lega ancora le membra.
                      Ma poiché non si mangia e non si beve da quarantotto ore, e non ci sono più
                    cartucce, e siamo pochi, il destino chiude l’atto. Cala il sipario.
                      Lacrime amare, e uno strazio così forte che si ha il senso che nemmeno la
                    morte l’annullerebbe. (Il viso di mia madre in fondo alle decisioni più dispe-
                    rate — e scaravento la pistola nel burrone). E vedo piangere per la vergogna
                    della cattura i più vecchi dei miei alpini, reduci con me dalle battaglie della
                    Valsugana e del Cauriòl, da tre inverni di guerra, dal carnaio dell’Ortigara, su-
                    perstiti d’una lunga serie di morti per tutte quelle valli e quelle cime perdute.
                    Non so il nome del soldato che dice, accanto a me:
                      «Cossa la dirà me mare!»
                      Ma il suo volto vedo, arso dal fiato della battaglia, illuminato dalle lacrime.
                      Per questo che ci avete tolti dal monte che noi avremmo saputo difendere,
                    e ci avete cacciati in questo culo di sacco, gente gallonata?
                      Ed ecco il tuo premio, buon alpino. Nemmeno trenta mesi di guerra ti dàn-
                    no il diritto di continuarla. E adesso morrai di fame, dannato alle compagnie
                    di lavori forzati sulla fronte nemica.
                      Melanconico corteo verso le retrovie nemiche. La fame atroce sovrasta
                    beneficamente al dolore. A buio, ci mischiano con un’orda enorme di altri pri-
                    gionieri; fra quelli, quanti sono che alzaron le mani senza combattimento? Le
                    bestiali necessità del cibo e del riposo superano ogni senso di dignità; già sol-
                    dati si scrollano di dosso il fardello della disciplina, gettano contro l’ufficiale
                    il loro odio, il loro rancore, la soddisfazione d’esser prigionieri.
                      Mezza scatoletta di carne a mezzanotte pare il viatico sufficiente per il do-
                    mani. Continua la marcia fra le povere retrovie nemiche: drappelli di territo-
                    riali emaciati, allampanati, sbrindellati - ci sono gobbi, c’è un nano ripugnan-
                    te, ride con tutti i denti allo spettacolo che gli diamo - carrettelle sgangherate,
                    carogne di muli a cui soldati famelici rubano la bistecca.


                           Paolo Monelli, Le scarpe al sole, Milano, Ugo Mursia, 2016, pp. 165 - 177.
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