Page 94 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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92 Dalla Battaglia D’arresto alla Vittoria
dividono il fronte in settori e in sottosettori, si prende il nostro battaglione, si
dice: «Càvati di lì e vai in un altro settore, se no il conto dei settori non torna
più». Amen. I bersaglieri ci danno il cambio, e noi ci porteremo in linea sotto
Castelgomberto.
Speravi di andare a riposo in Italia, alpino brontolone? Ma quello — lo ha
detto il generale — è il premio alle brigate poco solide, che a tenerle molto in
linea c’è paura che mollino.
C’è ancora vino nel barilotto, c’è ancora fede nei cuori e forza nelle gam-
be? E allora via la malinconia, ragazzi. Il vostro capitano vi racconterà stasera
com’era bella la sua amica bionda il giorno di maggio.
Antri trogloditici, stillare delle pareti umide. Reumatismi. E il genietto ve-
stito di bigio che danza nel mio cervello un po’ stanco.
Pace, finalmente, dopo il tambureggiare di tutto il giorno, e felice Porro
che va ferito all’ospedale... ché non lo intrappoleranno lui, come temiamo per
noi. Nel mare di corallo e di viola della sera si sommergono le Alpi perdute, si
attenuano le Dolomiti di fiamma. Sul Monte Grappa i bagliori del lungo bom-
bardamento assumono una nitidezza di stelle sull’azzurro del monte, quasi
spoglio di neve in questa ostinata primavera — alleata del nemico.
L’esaltazione del mio posto di combattente d’avanguardia, sempre, nelle
ore più gravi, stasera cede ad una stanchezza un po’ grave, fatta di presenti-
menti, di nostalgie, di ricordi suscitati senza sforzo dall’ora di viola e d’az-
zurro.
Non c’è più, in me, da un pezzo, la presuntuosa certezza di sopravvivere.
Troppo si prolunga la guerra, troppi se ne sono andati e se ne vanno ogni gior-
no per la via tenebrosa della rinuncia. La vicenda è eterna, con giuoco conti-
nuo siam presi dentro nella macina e risputati fuori per esserci impigliati di
nuovo più tardi. Stasera ho la stanchezza e il terrore di questo destino ferreo;
come fossimo già morti e solo c’indugiassimo ancora su questo mondo nella
speranza d’una resurrezione impossibile.
Presentimenti.
Dice il capitano Busa: «Doman quei che xe sul Tondarecar i lo perde, mi
vago al contrataco, sparo sora a lori e ai todeschi, e ghe lasso la ghirba».
Uno dei tanti presentimenti — perché indugiarcisi sopra col pensiero? E
col suo sorriso un po’ stanco sul volto scarno e solcato da trenta mesi di guer-
ra, attinge vino dalla grande zuppiera posata al suolo, nel circolo dei suoi
subalterni e di noi ospiti, seduti alla turca sui sacchipelo. E racconta le sue
piccole disavventure, sottolineate dai gesti eloquenti, già dimenticando tri-
stezze e previsioni.
«El veglia qua, Casagrande, el beva un goto. Nane, porta la tazza degli
ospiti all’aiutante maior».