Page 89 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
P. 89
1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia 87
Paolo Monelli
Di qui non debbono passare più.
Qui ci sono penne d’alpini, perdio
Un nome, quello di Paolo Monelli, destinato ad avere nel corso del Nove-
cento grande popolarità nel mondo del giornalismo e della letteratura. Con-
vinto interventista allo scoppio della guerra si arruolò volontario rinunciando
all’esenzione a cui aveva diritto come unico figlio maschio della famiglia: è
una ricchezza segreta e indistruttibile questa esperienza che non vorrei non
aver avuto. Inquadrato, come ufficiale nel corpo degli alpini, nel battaglione
Val Cismon del 7° reggimento prese parte valorosamente agli scontri in Valsu-
gana, sul Monte Cauriòl e alla battaglia dell’Ortigara nel giugno del 1917
dove meritò la seconda medaglia al valor militare. Nelle tragiche giornate di
Caporetto con il suo reparto fu impegnato nell’impossibile difesa sul Ton-
darecar e sul Castelgomberto sull’Altopiano di Asiago e pur battendosi con
grande determinazione e tenacia che gli valsero un’altra medaglia al valore, il
5 dicembre insieme i suoi alpini ormai stremati e isolati fu fatto prigioniero.
Paolo Monelli pubblicò nel 1921 per i tipi dell’editore Cappelli un volume
di memorie autobiografiche sulla Grande Guerra Le scarpe al sole: crona-
che di gaie e di tristi avventure d’alpini, di muli e di vino che già nel titolo
preannunciava i toni del racconto: ora carico di drammaticità, ora grottesco e
ironico. Nel gergo degli alpini infatti mettere le scarpe al sole significa morire
in combattimento. Il libro ebbe una larghissima diffusione in Italia, fu tradot-
to anche in Inghilterra, in Francia e negli Stati Uniti. Come per quasi tutti i
combattenti/scrittori nacque da una rielaborazione di appunti presi nel vivo
degli avvenimenti, dove la gravità dei momenti era rappresentata senza alcuna
enfasi, con un linguaggio piano che sottolineava ancor più la disperazione dei
combattenti: ché ho quattro uomini ogni cinquanta metri…ma dove urterà
[il nemico] contro il nostro dolore e il nostro rancore, non passerà. Monelli
raccontava, alternando il dialetto all’italiano, aspetti drammatici gli urli delle
donne di Enego, quando v’entrò l’austriaco, toccanti e questi bocetti del ’99
treman di freddo alla notte, spietati si sparava sopra il bersaglio vivo che
saltava da un tronco all’altro, epici lontani, nel bosco, sempre più povero di
voci, i «Savoia!» dell’eroica 300 ª che combatte la inutile lotta ineguale, fino
al momento più angoscioso, quello della resa al nemico, della vergogna, della
disperazione dell’anonimo soldato che accanto al suo capitano sussurra tra le
lacrime «Cossa la dirà me mare!».