Page 84 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                     28, ore 9. — Sono giunto a Subida alle cinque, affranto e immollato, rac-
                  cattando per via due o tre sottufficiali del nostro Comando, che si erano smar-
                  riti. Con essi forziamo la porta d’un’osteria da cui abbiamo veduto filtrare un
                  po’ di luce, e da una ragazza rossa con gli occhi scerpellini otteniamo dopo
                  molto parlamentare una bottiglia di Vermouth, unica bevanda che il locale
                  possieda, e una tavola, su cui schiaccio due ore di sonno, tenendo per cuscino
                  la maschera contro i gas asfissianti.
                     Alle sette, tutto rattrappito e zoppicante, vado in cerca del Comando, e ho
                  da Conegliani le ultime novità. Noi siamo destinati a coprire lo sfilamento del-
                      a
                  la 3  Armata che, alla nostra destra, ha già sgombrato tutto il Carso e ripiega
                  velocemente sul Torre; Cormons è già vuota di truppe e di borghesi.
                     I borghesi! Confesso che non mi erano venuti in mente. Da due anni la
                  guerra si svolgeva fra uno scenario di rupi deserte, dove sarebbe parsa illusio-
                  ne degli occhi l’apparizione di un essere che non fosse il solito straccione con
                  l’elmo in capo, il fucile in mano, il tascapane a tracolla; anche i paesi soggetti
                  al bombardamento in cui un rimasuglio di popolazione s’ostinava a vivere e a
                  morire, rappresentavano per noi le retrovie estreme, dove si scende a riposo,
                  o si va per «imboscarsi» in un alto Comando. La guerra era tutta per noi mili-
                  tari, le sue vicende, i suoi pericoli, le sue battaglie non riguardavano che noi...
                  Ed ecco che il mostro antropofago, non pago delle ecatombi che gli abbiamo
                  finora immolato, si avventa sugli inermi, sulle donne, sui bambini, che noi non
                  sappiamo più difendere!
                     Il primo doloroso esodo si svolge sotto i miei occhi: è la scarsa popolazione
                  italiana rimasta a Subida (gli slavi erano fuggiti nel ‘15) che scappa per tema
                  di rappresaglie, fra il pianto delle donne, la curiosità attonita dei fanciulli, la
                  muta disperazione degli uomini. Contadini la più parte, carichi come bestie
                  di ogni specie di fardelli, con le mani piene di fagotti, di cenci, di canestri, di
                  ombrelli, si spingono davanti la vacca, il maiale, l’asinello: le donne hanno
                  bambini appesi al collo e aggrappati alle sottane. Mobili sventrati e masserizie
                  rotte si rovesciano dagli usci aperti sulla via. Altra gente, inebetita, sta sulla
                  soglia a guardare con angoscia i conterranei che partono, e con diffidenza noi
                  che restiamo. Delle vecchie si fanno trascinare a viva forza, disperate di sepa-
                  rarsi dal tugurio domestico. Una madre deve aver perduto nel trambusto la sua
                  creatura, e corre qua e là come pazza, mandando un ululo inarticolato che mi
                  martellò i timpani per lunghe notti di febbre: Ma... ma... ma...
                     Un sergente della Brigata Tortona, schierata sulla destra della nostra Re,
                  viene a chiederci ansiosamente se avessimo per caso delle cartucce. La Tor-
                  tona, ha quasi esaurite le munizioni. Noi non ne abbiamo, ma sul terreno non
                  c’è altra abbondanza che di caricatori: le baracche, i ripostigli, gli zaini frugati
                  ad uno ad uno forniscono qualche migliaio di colpi. Pochi per combattere, ab-
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