Page 79 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia  77

                    dalla minaccia della fame che ci abolì la preoccupazione di essere dichiarati
                    disertori. Alla valle boscosa era seguita un’altra, arida, fiancheggiata da alti
                    monti seminati di frane, lunga, di cui non si vedeva la fine. Il sentiero disparve
                    confuso nel largo letto d’un torrente asciutto e sui sassi il camminare divenne
                    torturante.
                      La luce s’illanguidiva. Il silenzio rendeva enorme il rumore dei sassi smos-
                    si dal nostro passo. Ma d’improvviso dalla costa del monte, dov’era un bosco,
                    un suono chiaro ci fermò sorridenti: qualcuno batteva con una scure. Poi lo
                    schianto di un albero e voci di uomini vibranti come parole affettuose. Gri-
                    dammo e ogni suono si tacque. Chiedemmo dove fossimo e la strada per un
                    paese vicino. Ci fu risposto che eravamo nella valle di Musi e che vicino vi
                    era Tanamea e poi Topodlipo. Subito la scure riprese a battere come prima. Le
                    vaste ombre dei monti ci accerchiavano, ma presto piccole e basse scorgemmo
                    al di là del largo ghiaione le case di Tanamea.
                      Mandai i due soldati a vedere se si poteva trovare qualcosa e io rimasi col
                    mulo, che si era subito messo a fiutare alcuni ciuffi d’erba.
                      Seguivo i miei soldati mentre si allontanavano impicciolendo e poi come li
                    vidi ricomparire di ritorno, mi sforzavo a distinguere se portavano qualcosa,
                    ma a un salto che fecero, subito m’accorsi che come erano andati, così ritor-
                    navano. Il paese era deserto, vi erano solo quattro baracche di legnaiuoli, tutti
                    fuori nei boschi. Ma dalla nostra stessa strada, parve venisse gente. Si attese,
                    poi si distinse un soldato avanzare accanito, portando sulle spalle un compa-
                    gno ferito a una gamba, che agitando le braccia lo aizzava ad andare svelto.
                    Volevano sapere dove fosse un ospedale. Ci passarono innanzi senza fermarsi,
                    smaniosi di fuggire e di salvarsi e non ci fu possibile seguirli.
                      Più innanzi la valle arida si biforcava e scorgemmo poco distante un fumo
                    disteso sopra un mucchio di case, con la chiesa. Ormai ci si sentiva tranquilli.
                    Il sentiero fuori dai ghiaioni riprese facile tra l’erba sul pendio lungo un pic-
                    colo torrente che scendeva. Accanto a un fienile trovammo alcuni alpini, uno
                    teneva attorno al collo, come un boa da signora, un paio di galline legate per le
                    zampe e non mi fu difficile comperarne una. Agevolati dal sentiero in discesa,
                    giungemmo al paese quasi di corsa, ma un gruppo di donne ci fermò. Fiere e
                    minacciose con un largo passo che faceva serpeggiare le loro ampie sottane,
                    ci chiesero donde venissimo cupe nello sguardo. Di scatto una si fece avanti
                    mostrandoci il pugno e le altre irruppero a gridarci: «Vigliacchi! lazzeroni!
                    maledetti, per colpa vostra, adesso ci tocca fuggire!» Andavano alle stalle dei
                    pascoli, a ritirare il bestiame. Abbassai quel braccio, lo sospinsi e unito agli al-
                    tri ci facemmo largo aizzando contro di loro il mulo. «Perché non siete venute
                    anche voialtre a fare la guerra?» gridavano i miei soldati e ci piaceva lottare
                    coi pugni contro quelle spalle che presto cedevano. Le lasciammo e i sassi
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