Page 77 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia  75

                    Vicino, in un’altra casa, alcune belle donne alte e bionde ridevano con giovani
                    artiglieri da montagna e questi erano così familiari alla casa da fare pensare
                    avessero passata la notte in amore con quelle. Tutto era tranquillo e felice.
                    Molti mangiavano, altri si abbandonavano al piacere di distendersi sull’erba
                    come tra le lenzuola d’un letto. Non sapevano della battaglia. L’ufficiale che
                    comandava quei soldati, mi ascoltò senza scomporsi, tanto era preso dalla
                    beatitudine del luogo e del sole. Anche da quel telefono non si poteva parlare
                    col comando della Zona carnica. Pensai di ritornare a Hum. Ma l’insistenza di
                    quelli che mangiavano le scatolette di carne aprendole a colpi di baionetta, mi
                    risvegliò la voglia di mangiare. Qualcuno ci offerse un poco di pane e, vista
                    una gallina intenta a razzolare dietro la casa, scagliata di sorpresa una scarica
                    di sassi, fu colpita e presa. Tolte le penne, la trovammo magra, ma attorno non
                    ve n’erano altre. Infilata nella baionetta, la tenemmo sopra a un fuoco acceso
                    bruciacchiandola come una castagna, poi ce la spartimmo tirando chi dalle
                    zampe, chi dalle ali e non mancò d’avere un buon sapore mai gustato.
                      Deciso assolutamente di eseguire l’ordine ricevuto, lasciai al telefono della
                    casermetta il milanese e con l’altro ritornai verso Hum per riparare la linea.
                    Allora nel ritornare verso i luoghi abbandonati, mi accorsi che su dalla valle,
                    nel puro sereno del cielo, si alzava, indifferente e più bella, la cima del Po-
                    lunik, ai cui piedi il giorno prima si era scatenata la battaglia. Il sole leggero
                    ne rendeva definite le rocce e compatte le boscaglie altra volta attraversate in
                    groppa al mulo. Quella cima ora divisa da me, insensibile e splendida, mi esa-
                    sperava come vedessi la mia vita vissuta ormai irraggiungibile più. Avevo sete
                    e scorta una piccola cascata, stavo chino a bere, quando un rumore di passi che
                    scendeva mi allarmò. Presto venne avanti un colonnello goffo e stanco con
                    dietro un gruppo di soldati d’ogni arma e di giovani aspiranti tutti nuovi nella
                    loro divisa. Il colonnello mi chiese dove andavo.
                      Alla mia risposta disse: «Macché Hum! A Hum non vi sono che due morti
                    in mezzo alla strada e una bicicletta abbandonata, il Comando di divisione
                    preso a cannonate, se ne è andato stanotte. Io comando la retroguardia, dopo
                    di me vi sono gli austriaci che avanzano nel bosco. Sono ferito al ginocchio e
                    avrei bisogno d’un mezzo qualunque, ne ha lei?» Il colonnello parlava tran-
                    quillo, sprezzante, e come ubriaco. «Io comandavo il battaglione complemen-
                    tare, dovevo sbarrare il passo tra Plezzo e Pluzna, ma arrivai sul posto con un
                    residuo di venti uomini. Me l’hanno tutto, tutto massacrato. Ce l’ha un mezzo
                    qualunque?» Gli davo la mano come a una signora nel discendere verso la
                    casermetta, e non sapevo spiegarmi come potesse essere ferito al ginocchio
                    se non gli scorgevo alcuno strappo alla stoffa. Gli altri, pallidi, ci seguivano
                    senza parlare.
                      Alla casermetta, la truppa non vi era più. Trovai il mio soldato che rin-
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