Page 76 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                     Hum era il nome di un gruppo di baracche. Una piccola, era vuota e vi feci
                  entrare i miei soldati, che si addossarono gli uni agli altri subito disponendosi
                  al sonno. E quello stare vicini, la testa posata sul petto dell’altro, confortava e
                  doppiamente riposava. Ma uno, che era rimasto indietro e che ci aveva potuto
                  rintracciare, entrò quando il sonno ci aveva presi, per avvertirci che al bivio
                  vi era una carretta della nostra compagnia, carica di roba d’inverno. Mandai
                  a prenderne alcuni sacchi prima che venisse precipitata nella valle. Alla luce
                  d’una candela la roba venne divisa e subito ci liberammo dalle camicie e dalle
                  maglie intrise di umido e di sudore. I miei soldati avevano corpi come giova-
                  netti. Un sacco era pieno di scarpe e con avidità ne prendemmo in previsione
                  del molto cammino da compiere. Poi si riprese il sonno per dimenticare la
                  giornata vissuta. Ma non fu lungo per me, una mano mi scosse: «Signor te-
                  nente, il generale la vuole».
                     Quello che mi aveva svegliato mi condusse sotto al fresco degli alberi fino
                  a una baracca dove trovai, distesi su sedie a sdraio, con pellicce dal bavero
                  rialzato fino a coprire gli orecchi, il generale e il capo di stato maggiore. E
                  questi mi disse: «Vede là quel telefono? dicono che comunichi con la Zona
                  carnica, ma non funziona. Lei mi procuri la comunicazione, perché ho urgenti
                  notizie sulla nostra situazione da trasmettere. Per terra vi è del filo telefonico,
                  se le occorre». Presi con me il teppista milanese e un soldato molto forte che
                  proveniva dagli alpini. L’aria della notte era leggera e svelti, come se già ci
                  fossimo riposati, scendemmo nel bosco seguendo i fili sospesi ai rami dei pini.
                     Il guasto era introvabile, ora l’uno, ora l’altro s’arrampicava sugli alberi,
                  attaccava l’apparecchio di prova, chiamava, ma nessuno rispondeva verso la
                  Carnia. Il teppista aveva una lampadina elettrica tascabile che ci servì mera-
                  vigliosamente per rintracciare i fili nel buio. Ripetendo invano le chiamate,
                  arrabbiandoci e smaniando per non potere fare la riparazione tanto necessaria,
                  giungemmo coi primi albori in una valle che si apriva chiara. Una casa rossa
                  spiccava tra i prati. Sul nostro sentiero vedemmo avanzare una pattuglia di
                  soldati piccoli e agili. Erano di cavalleria appiedata, mandati dal comando
                  della Zona carnica in cerca della nostra divisione. I volti bruni su dei colletti di
                  stoffa bianca, eleganti e armati, vispi e allegri, parevano inebriati dal mattino.
                     Chiamai verso Hum per fare parlare il capo di stato maggiore col sergente
                  che comandava la pattuglia, ma nessuno rispose. La linea s’era rotta anche da
                  questa parte, bisognava tornare indietro, la pattuglia proseguì per Hum, men-
                  tre noi, saputo che quella casa rossa era la casermetta di finanza del vecchio
                  confine e che vi era il telefono con la Carnia, ci dirigemmo rapidi, decisi di
                  comunicare di là la nostra situazione.
                     Attorno alla casermetta, distesi sull’erba a godersi il primo sole che brilla-
                  va nella limpidezza dell’aria, stavano i soldati d’una compagnia di mitraglieri.
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