Page 82 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                                                preambOLO
                     Ora che una vittoria, tanto bella quanto la sognò il cuor nostro all’alba del
                  maggio memorabile, ha purificato l’atmosfera dei rancori, delle recriminazio-
                  ni feroci ed inique, non mi perito di dare alla luce i miei appunti, come furono
                  scritti nei ritagli d’un tempo rapido come la folgore; o lento come la morte;
                  scritti nervosamente con la matita, su brandelli di carta che mi ritrovavo in ta-
                  sca; scritti di notte al lume vacillante di una candela, o di giorno, in mezzo ad
                  una strada affollata, col gomito appoggiato al parafango dell’automobile. Con
                  le loro ineguaglianze, con le loro brutalità, con le loro lacune, i miei appunti
                  hanno tutti i difetti dell’improvvisazione, ma ne hanno fors’anche la vitalità
                  febbrile, il realismo sincero. Essi non sono ancora della storia, ma grezzo ma-
                  teriale di storia.
                     1 giudizi dati qui non sono e non pretendono di essere definitivi. Le impres-
                  sioni sono veridiche, ma poterono essere fuorviate e guaste dalla bile: inoltre
                  l’autore non ha veduto che una piccola porzione della verità; egli era nella
                  fornace, ed è noto non esser questa la situazione più favorevole per descrivere
                  l’incendio. Sarebbe quindi ridicola presunzione da parte sua trinciar sentenze
                  circa le responsabilità di Caporetto. Parlino coloro che a Caporetto erano, e
                  videro dar fuoco alla miccia che per poco non mandò in aria il laborioso e
                  cruento edificio della nazione italiana. Io non c’ero, e non so dire se sia stato
                  un episodio di viltà, una sventura, un esempio di ciò che può in guerra l’auda-
                  cia degli uni combinata con l’imprevidenza e con l’inettitudine degli altri. Né
                  so (per quanto lo sdegno e l’angoscia del momento mi facessero urlare la tesi
                  affermativa) se dopo Caporetto la funesta ritirata si potesse evitare: è questo
                  un problema strategico sul quale mi affretto a dichiarare la mia incompetenza.
                  Deciderà la storia: vi è, pare, una commissione d’inchiesta incaricata di for-
                  birle le lenti.
                     Prego perciò di prendere con beneficio d’inventario le invettive che, in pro-
                  sa e in versi, sono scagliate nel mio libro al Generale che comandò l’Esercito
                  italiano sino al novembre dell’anno scorso, e al quale si deve, qualunque sia
                  il giudizio che la posterità ben informata gli riserba, il rispetto che circonda
                  le grandi cadute. Non ho tolto dalle mie pagine nessuna invettiva e nessuna
                  imprecazione, perché avrei con esse sacrificato il palpito, violento ma leale,
                  che è la sola ragione d’un libro come il mio: avrei dovuto piuttosto distruggere
                  il libro, e vi ho pensato.
                     Ma io sono profondamente convinto che i libri come questo siano utilissimi
                  non solo alla storia, ma alla vita di un popolo. Utili sono gli insegnamenti del
                  dolore, utile è la verità senza veli; ed è giusto che gli italiani presenti e futuri
                  sappiano ciò che di spasimi, di amarezze e di rossori è costato il trionfo di cui
                  a buon diritto si gloriano e si glorieranno, sappiano di che lacrime e di che
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