Page 91 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia  89

                    si passa d’accanto, perché non si capisce l’abbandono di tanto terreno — teso
                    l’orecchio, invano, a cogliere più che rare fucilate di pattuglie — ripieghiamo
                    su posizioni più arretrate, linea erta di monti senza trincee. Ci si accampa, a
                    sera, fra la neve, sui fianchi del Monte Tondarecar.


                    11 nOvembre
                      A mezzogiorno, si levano d’improvviso le tende. Pare che il nemico abbia
                    rotto più a valle. Sotto, alpini delle ore tragiche, per turare il buco! Mollare
                    tutto, le casse di cottura, le tavole racimolate, la terza coperta, ma far presto,
                    far presto. Giù a rompicollo.
                      A valle buone nuove. La falla è stata chiusa per opera del battaglione Vero-
                    na: ci ha lasciati tutti gli ufficiali, ma l’ha chiusa.
                      Foza fangosa. Dove dormiremo stanotte? Intanto ci cacciamo dentro alla
                    sussistenza. Se si deve perdere il paese, rubiamo noi prima dei cecchini. Io
                    nascondo sotto il cappotto un sacchetto di zucchero che mi addolcirà gli atroci
                    caffè di Bordoli. E i soldati rubano le scatolette di carne.
                      Il fato è buono. Dopo un’ora di marcia si giunge ad una casa, fra pareti di
                    muro, davanti ad un enorme focolare su cui arde il ceppo della leggenda.
                      Buona sera, signori della Presidiaria. Voi ci offrite l’ospitalità e noi vi mo-
                    striamo le nostre facce allegre di combattenti in vacanza. Centelliniamo il
                    riposo davanti al focolare.
                      Ma al crepuscolo allarmi.. E quattro parole anche bisognerà dire a questi
                    ragazzi, visto che si riprende il cammino della montagna. L’infinita stanchez-
                    za, la vigilia atroce e questo senso inesorabile di isolamento ci fanno sognare
                    da tanto tempo, a tutti i costi, le case ed i comodi del piano! Non è vero, an-
                    che se ti vergogni di confessartelo, che ieri arrancando a precipizio giù per
                    il sentierino a valle si voleva sperare che quella marcia tirasse diritto fino a
                    Bassano, fino a Cittadella, terre promesse di vino e di focolari, e non ci si pre-
                    occupava affatto che ciò avrebbe significato una più larga sconfitta?
                      Debolezze da cappelle. Abiuriamole ad alta voce davanti a questa com-
                    pagnia scalcinata e fiera allineata sull’attenti sul prato sudicio; due periodetti
                    secchi senza rettorica e senza illusioni, il nostro dovere, il nostro mestiere,
                    tanto siamo destinati a lasciarci prima o poi la pellaccia, torniamo su, per Id-
                    dio, e guardiamo di salvare questa bella terra veneta da quei superbiosi a cui
                    abbiamo già chiuso l’anno passato sul muso le porte di casa nostra. E se anche
                    quando torneremo giù nessuno ci dirà grazie, verranno sempre le donne sulla
                    porta dei casolari a baciarci la mano —benedetti da Dio, sè stadi vualtri alpini
                    a salvarne, cari e grassie, cari da Dio — come l’anno passato. Domani ce li
                    vedremo in faccia, questi tedeschi con il chiodo. Niente di nuovo, sapete. Ba-
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