Page 258 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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258 I 100 ANNI DELL’ELMETTO ITALIANO 1915 - 2015
creò qualche perplessità al ministero della Marina, che in assenza di smentita girò a Marinar-
mi la soluzione del problema, specificando: «qualora tale elmetto esista in servizio, si prega
codesta Direzione Generale voler disporre in merito». Non si conosce l’esito di tale scambio
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epistolare, ma si può registrare che qualche settimana dopo venne predisposto un invio di «88
elmetti di lamierino», da destinare al deposito di Pola. 444
In questa situazione, la guerra continuò, cercando di fare di necessità virtù e andando a com-
battere con quel che veniva passato. Le richieste in tal senso – documentabili – arrivarono di
sicuro fino al luglio del 1943, non potendo contare però a quel punto neppure sulla certezza del
nemico da combattere.
Protezione civile e militarizzati
Nonostante non vi fosse una normativa apposita, nella maggior parte dei complessi industriali
come nelle strutture residenziali più popolose, al pari delle maschere antigas gli elmetti metallici
vennero comunemente utilizzati. La propaganda fece un gran uso di questi corredi difensivi per
creare uno spirito di resistenza da parte della popolazione minuta, come a testimoniare la comu-
nione d’intenti esistente tra la società civile in Patria e i reparti combattenti al fronte.
I modelli rintracciati furono sia quelli risalenti alla Grande Guerra sia le nuove versioni (mo-
delli 31, 33 e rispettive derivazioni), con un variegato assemblaggio di parti e accessori. Non
fu inusuale l’utilizzo di modelli 15 o 16 con imbottiture e soggoli del 33. Particolarità di queste
versioni autarchiche fu l’origine spesso difettosa dei pezzi. Quando gli elmetti non rientravano
nei livelli minimi di resistenza, la produzione ordinaria tendeva a scartarli, spesso segnandoli
con fori supplementari, così da certificarne l’appartenenza alla seconda scelta. Alla fine, non
potendo equipaggiarvi le unità di prima linea, andarono a divenire corredo del personale mi-
nisteriale militarizzato, delle truppe di difesa passiva o di quelle adibite (come si è visto) alla
vigilanza aero-portuale. Stesso discorso vale per quelli che vengono comunemente definiti spe-
rimentali. Per il numero elevato di fori sfiatatoi (o assenza di essi) non vennero giudicati idonei
all’esame balistico, per la distribuzione alle truppe combattenti. In tempo di guerra non si butta
via niente e andarono ad equipaggiare coloro che rischiavano meno la propria vita, rispetto ai
combattenti di prima linea.
A tutti questi esemplari vennero in genere apposte insegne o sigle distintive, atte a identifi-
care il ruolo e le competenze di chi li indossava. Di massima costoro avevano funzioni di prote-
zione civile, vigilanza incendi o organizzative industriali e di quartiere. Queste ultime avevano
come referente il facente funzioni di capofabbricato, quasi sempre filiazione giovanile o senile
del Partito. I ruoli svolti, oltre a quelli prettamente antincendio, furono: di ordine pubblico, sor-
veglianza, sanitario, portaordini e di minuto mantenimento.
I simboli quindi annoveravano asce incrociate, croci rosse, scudi protettivi oltre all’imman-
cabile fascio littorio. I più noti tra questi fregi, dipinti o in rilievo, furono quelli della già citata
UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), della P.A.A. (Protezione Anti-Aerea) o delle
stesse fabbriche (Fiat, Alfa Romeo, Pirelli, ecc.), che svolgevano in proprio il servizio di pre-
venzione incendi o di messa in sicurezza degli impianti industriali.
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443 AUSMM, S. Marco, b. 1, f. 10, 1942, documenti vari.
444 AUSMM, S. Marco, b. 1, f. 3, foglio 55365 del 19/1/1943 di Marinarmi Roma.
445 G. Grigoletti, Elmi dell’antiaerea italiana 1940-45, in «Militaria», n. 6, dicembre 1993, pp. 8-13.

