Page 473 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 473
Nella prima parte Massa inquadrava la situazione militare nell’inverno 1860-1861,
dopo la battaglia del Volturno, quando l’Armata sarda si sostituiva alle camicie rosse e gli
ultimi nuclei dell’esercito borbonico resistevano ancora a Gaeta, Messina e Civitella del
Tronto. Accennava al sorgere delle prime forme di guerriglia che, sfruttando le spontanee
insorgenze della popolazione contadina campana e abruzzese, vedevano protagonisti nuclei
di soldati borbonici regolari. Erano le ardite incursioni, condotte in Abruzzo e in Terra
di Lavoro da ufficiali dell’esercito regolare borbonico i colonnelli Luverà e La Grange,
finalizzate ad alleggerire la pressione del corpo di spedizione del generale Cialdini intorno
a Gaeta. Il colonnello Luverà, nel dicembre 1860, attraversava la frontiera pontificia nella
zona dei Simbruini e, con più di 800 armati, attaccava Tagliacozzo, difesa dalle truppe del
40° Reggimento fanteria. La rivolta della popolazione a favore degli uomini di Luverà co-
stringeva le truppe italiane a ripiegare su La Sgurgola. Nello scontro cadevano 20 soldati “i
primi martiri generosi della fatale guerriglia interna per purgare il paese dal canagliume che
disonorava il nome d’Italia”. La condanna del Massa era inappellabile verso la ferocia dei
briganti che torturavano e uccidevano spessissimo i militari italiani catturati, come nel caso
del capitano Zannetelli del 39° Reggimento . Con l’incursione della banda del colonnello
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La Grange, arrivata a minacciare la città dell’Aquila nel gennaio 1861 e la capitolazio-
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ne delle ultime tre roccaforti borboniche , secondo Massa, aveva termine il brigantaggio
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politico e cominciava il brigantaggio comune “più crudele e sanguinario” del primo. Il
brigantaggio politico, in sostanza, era caratterizzato dalla formazione di grosse bande che
operavano al comando di ufficiali borbonici con il compito di affiancare le operazioni delle
truppe regolari napoletane e sollevare la popolazione per rendere insicure le retrovie del cor-
po di spedizione del generale Cialdini. Il brigantaggio comune, invece, utilizzava un altro
metodo di combattimento, “alle grosse masnade di 800 uomini e più armati si sostituirono
le piccole e numerosissime bande” , che attaccavano sempre con una netta superiorità di
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forza e all’arrivo dei rinforzi si disperdevano. Alcune di queste bande però, come quelle di
Crocco in Basilicata e Puglia, di Fuoco in Terra di Lavoro, di Schiavone in Abruzzo accet-
tavano “il combattimento in aperta campagna, dando prova di una logica tattica e di un
concetto chiaro ed ordinato nel disporre gli uomini per la piccola guerra” . Tra tutti questi,
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secondo Massa, Crocco fu, senza dubbio, il capo brigante più valoroso e capace tale che “se
avesse vissuto nell’età di mezzo, sarebbe forse salito a condizione di condottieri di ventura”.
La sua figura fu tratteggiata come quella di un capo guerrigliero carismatico, “dotato dalla
dicata alla fine della campagna del 1860-1861, i combattimenti e le relative perdite subite erano rico-
struiti facendo riferimento ai reggimenti di fanteria e cavalleria coinvolti, al corpo dei bersaglieri e ai
carabinieri nel loro complesso e, infine, un paragrafo era dedicato alla Guardia nazionale.
9 Ibid., p. 1450.
10 Il capoluogo abruzzese fu salvato dall’arrivo dei bersaglieri del generale Pinelli.
11 La piazza di Gaeta capitolò il 13 febbraio 1861, Messina il 12 marzo e Civitella del Tronto il 20, po-
nendo così fine alla resistenza delle truppe regolari borboniche.
12 Capitano e. MaSSa, Vittime dimenticate: ai gloriosi caduti per la repressione del brigantaggio in Italia,
op. cit., p. 1451.
13 Ibid., p. 1452.

