Page 13 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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Gli “slavi del sud”


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             sola esistenza la storia della regione .
                Nel 1493 a Krbava, presso Zagabria, anche i croati ebbero la loro sconfitta  na-
             zionale e militare, cadendo a loro volta in potere del Sultano. Un trentennio dopo,
             a Mohács, furono gli ungheresi a venire travolti dalle armate di Solimano il Ma-
             gnifico.
                La dominazione turca sui Balcani fu qualcosa di più di una conquista militare.
             In tutte queste battaglie infatti, la sconfitta fu accompagnata dalla morte sul campo
             del monarca e di quasi tutta la nobiltà del paese scesa in armi al suo fianco. Nella
             società dell’epoca ciò equivaleva pressoché all’azzeramento non solo della classe
             dirigente di una nazione, ma anche alla sua catastrofe identitaria. I pochi superstiti
             delle aristocrazie locali finirono infatti per convertirsi alla religione dei conquista-
             tori, come l’aristocrazia bogomila della Bosnia, altri fuggirono ad occidente con
             parte della popolazione, cercando di proseguire la lotta con l’aiuto delle potenze
             europee, come fu per l’albanese Scanderbeg e per gli antenati di Josip Broz, il fu-
             turo maresciallo Tito . Altri ancora, come i membri della chiesa ortodossa, forse la
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             sola istituzione che non uscisse totalmente travolta dall’invasione, si sottomisero
             finendo cooptati nel sistema di potere ottomano, cha da allora reclutò nei Balcani i
             suoi migliori ministri e i giannizzeri, la casta guerriera alla base del sistema militare
             e amministrativo ottomano. Da allora fin quasi alla fine del’Impero, il turco parlato
             nei palazzi del potere di Costantinopoli fu una lingua imparata. La lingua madre dei
             vizir e dei giannizzeri era quasi sempre il dialetto serbo-croato parlato da bambini
             nei villaggi della Serbia e della Bosnia dove erano stati reclutati da ragazzi e dove
             le loro famiglie continuavano a vivere .
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                Con la sua durata plurisecolare, circa 500 anni, il “giogo ottomano” condizionò
             dunque l’identità e l’evoluzione di tutti i popoli balcanici i quali caddero in potere
             del sultano nella fase della propria storia in cui  lo stato-nazione aveva appena
             iniziato a formarsi. Tanto i serbi quanto i croati, i valacchi, i bosniaci e, un secolo
             dopo, gli ungheresi, avevano fin lì conosciuto una storia abbastanza simile alle altre
             monarchie coeve, sviluppando una cultura ed una tradizione politica influenzate
             dalla vicinanza di Bisanzio, ma fortemente imparentate anche con quelle dell’Eu-
             ropa centrale. L’arrivo degli ottomani segnò per tutte queste nazionalità un trauma
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             storico di portata enorme . Quando alla fine del XIX Secolo le nazioni balcaniche
             recuperarono la propria indipendenza, metà della loro storia come popoli era tra-
             scorsa sotto la dominazione straniera, con tutta la sua eredità di “collaborazioni-
             smo”, di mescolanza etnica e di violenza repressa. Ciò conferì ai nascenti nazio-


             2  ENZO BETTIZA, Saggi, viaggi, personaggi. Milano, Rizzoli, 1984, pp 110-111.
             3  JASPER RIDLEY, Tito. Genio e fallimento di un dittatore. Milano, Mondadori, 1996, p. 26.
             4  DONALD QUARTER, L’Impero ottomano, Roma, Salerno Editore, 2008.
             5  JOZE PIRJEVEC, Serbi, croati, sloveni, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 25.

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