Page 14 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.


            nalismi balcanici i caratteri che si sarebbero manifestati in seguito: il sentimento
            di rivalsa lungamente covato, il senso di identità nazionale connaturato alla fede
            religiosa, la fobia quasi ossessiva per il “nemico interno”, ereditata dalla lunga
            stagione della “collaborazione forzata” con gli ottomani.


               Gli eventi del XVIII e del XIX secolo, con la progressiva espulsione dell’Im-
            pero Ottomano dal cuore dei Balcani e la riduzione delle sue dipendenze europee
            all’area fra il Danubio e la Grecia settentrionale, avevano lasciato i popoli slavi
            meridionali divisi fra terre “liberate” e non. Dopo la guerra russo-turca del 1878,
            con la quale Moldavia, Valacchia e Bulgaria andarono ad aggiungersi alla Gre-
            cia, indipendente dal 1821, alla Serbia e al Montengro, indipendenti dal 1862, la
            Russia zarista aveva ormai sostituito l’Austria come forza motrice dell’avanzata
            anti-ottomana nei Balcani, incoraggiandovi, assieme ai patriottismi locali, anche
            un più generale nazionalismo etnico, il “panslavismo”, finalizzato a costituire una
            alleanza, al di sopra delle confessioni religiose e delle singole identità nazionali, fra
            tutti i popoli di lingua slava, la cui guida sarebbe stata assunta dal monarca di San
            Pietroburgo.
               A questa ambiziosa visione politica futura, che vedeva le nazionalità balcaniche
            rendersi indipendenti e poi consociarsi nella grande alleanza dei popoli slavi, si
            contrapponeva però una realtà di enorme complessità e varietà. Sebbene la “fratel-
            lanza slava” esercitasse una certa presa sui circoli nazionalisti di tutti i neonati stati
            balcanici, ciascuno di essi era anche immerso nei problemi tipici degli stati nati da
            una guerra di liberazione: darsi un assetto politico stabile, completare l’unità ter-
            ritoriale, definire una “missione” nazionale che fosse al tempo stesso fondamento
            dello stato e bussola della sua politica. Tutti questi obbiettivi  erano ben difficili,
            tenendo conto di come fosse frammentato il panorama balcanico del tempo. Nessun
            popolo era infatti padrone di uno stato che comprendesse tutti i suoi appartenenti,
            quasi tutti avevano al proprio interno minoranze altrui, e tutto ciò alimentava le
            rispettive ambizioni, soprattutto nelle regioni, quali la Macedonia o la Bosnia, dove
            era impossibile stabilire quale componente fosse prevalente sulle altre.
               I territori fra il Danubio e il Mediterraneo erano in una condizione  oggettiva-
            mente difficile. A parte gli sloveni, che mai avevano conosciuto l’occupazione turca
            ed erano vissuti dal  Medioevo nell’orbita politica di Vienna, i Croati erano divisi
            fra la maggior parte della popolazione, soggetta al dominio della corona asburgi-
            ca di Ungheria, e la minoranza che nella Bosnia-Erzegovina rimaneva suddita del
            Sultano. In condizione ancor più complessa erano i Serbi,  una minoranza dei quali
            viveva sui confini meridionali dell’Impero Austro-Ungarico, nella Krajna e nella
            Vojvodina, ma che dal 1862 avevano un proprio piccolo regno indipendente nella
            regione attorno a Belgrado. Una parte rilevante dei serbi, tuttavia, era anche in Bo-
            snia-Erzegovina, nel Sangiaccato e in Macedonia, tutte provincie ancora soggette


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