Page 16 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
P. 16

La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.


            per i croati era la soluzione ideale alla condizione di subalternità cui le strutture
            dell’Impero di Vienna la condannavano.
               Anche il nazionalismo serbo ebbe le sue prime radici nell’Impero di Vienna. Fu
            a Vienna infatti che lo storico e scrittore serbo Dositej Obradovic scoprì nel 1760
            le lontane affinità del suo popolo con l’Europa e vi fondò il circolo di intellettuali
            destinato a pubblicare circa un trentennio dopo -nel 1526- nella capitale austriaca
            il primo giornale serbo, e fu sempre a Vienna che nel 1814, fuggendo dopo il falli-
            mento della prima rivolta anti-turca di Belgado, il padre della letteratura serba Vuk
            Stefanović Karadžić conobbe l’opera di Kopitar e ne trasse le basi per le sue opere
            capitali, la grammatica e il dizionario della lingua serba parlata . Stampate nelle
                                                                      7
            tipografie viennesi le opere di Karadžić crearono una lingua serba assai più simile
            al croato di quanto non fosse la lingua liturgica fino ad allora usata nel serbo scritto.
            In quell’idioma, divenuto in breve una koinè slava, cominciarono a circolare, usciti
            dai torchi delle tipografie dell’Impero, i classici del pensiero politico europeo, cui si
            aggiunsero  i primi capolavori dell’epica balcanica, fra cui il grande poema Gorski
            Vijenac, o “Il Vecchio della Montagna”, del poeta montenegrino Petar Petrović
                                             8
            Niegoš, stampato a Venezia nel 1847 . Da allora in poi i due principali popoli slavi
            del sud, o almeno le loro élite, avrebbero avuto nel XIX secolo un veicolo potentis-
            simo di comunione e comunicazione, un veicolo che le frontiere e le leggi non po-
            tevano fermare. L’impero degli Asburgo, nell’atto di allungare la propria influenza
            sui Balcani, vi emulsionava al tempo stesso quegli elementi ideali e culturali che
            nell’arco di cento anni lo avrebbero portato alla fine.

               Se il loro luogo di nascita e di prima coltura fu il medesimo, i nazionalismi serbo
            e croato si svilupparono però secondo linee diverse.
               I croati svilupparono il proprio nazionalismo in seno all’impero asburgico, del
            quale erano da secoli parte integrante e al quale, come i serbi con i sultani di Co-
            stantinopoli, avevano fornito schiere di eccellenti soldati e amministratori. Gli al-
            lievi delle scuole di tutti i domini asburgici imparavano che sul campo di Marengo
            Bonaparte era stato ad un passo dalla sconfitta per merito dei tenaci fucilieri dei
            reggimenti croati, e che nel 1848 era stato il “fendente di Jelacic”, ovvero la cam-
            pagna condotta dai nobili croati fedeli a Vienna, a stroncare le velleità nazionaliste
            degli ungheresi . Il fatto che proprio l’Ungheria fosse stata nobilitata nel 1867 al
                          9
            livello di “socio di minoranza” della monarchia asburgica, concedendole un sub-
            impero che comprendeva anche la Croazia, era proprio la ragione del principale
            scontento dei croati, che ritenevano di meritare maggiormente un simile ricono-



            7  JOZE PIRJEVEC, Serbi, croati, sloveni, cit., pp. 28-30.
            8  ENZO BETTIZA, La cavalcata del secolo, Milano, Mondadori, 2000, p. 89.
            9  JASPER RIDLEY, Tito. Genio e fallimento di un dittatore,cit., p. 20.

            16                                                              Capitolo primo
   11   12   13   14   15   16   17   18   19   20   21