Page 15 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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Gli “slavi del sud”
al Sultano, dove condividevano, con crescente insofferenza reciproca, il territorio
con le altre popolazioni dell’impero in disfacimento: i già citati croati di Erzego-
vina, gli slavi musulmani di Bosnia e del Sangiaccato, gli albanesi musulmani e i
bulgari cristiani della Macedonia.
Unica isola, assieme alla Slovenia, di omogeneità etnica, era il Montenegro,
incastonato nelle montagne fra l’Albania e la Bosnia. Rimasto orgogliosamente
autonomo dalla potenza ottomana, esso era stato per secoli una teocrazia monastica
ed era divenuto nel 1878 una monarchia patriarcale sotto la dinastia dei Petrovic,
alleata della Serbia ma soggetta strettamente all’influenza dell’Impero zarista, cui
doveva la propria indipendenza.
La Bosnia, rimasta nel 1878 sotto la nominale sovranità della Sublime Porta di
Costantinopoli, aveva visto installarsi sul proprio territorio le guarnigioni asburgi-
che che vi avevano importato, dopo secoli di remoto dominio ottomano, la prassi
dell’amministrazione imperiale. Abitata per quasi metà da slavi musulmani, discen-
denti degli eretici bogomili convertitisi all’islam all’inizio del XV secolo, e per il
resto da slavi ortodossi e cattolici, la Bosnia rappresentava il cuore geografico della
regione balcanica, ed assieme il fulcro del suo irrisolvibile rebus etno-confessio-
nale. Tranne per la sua parte occidentale, l’Erzegovina, popolata da croati ad ecce-
zione dell’enclave serba della Krajna e di alcune comunità italiane della Dalmazia,
la Bosnia non aveva per il resto una minima linea di demarcazione fra le diverse
comunità. Cristiani ortodossi e musulmani, oltre ad alcune decine di migliaia di
ebrei, vi convivevano fianco a fianco in un reticolo di città e villaggi, nei quali
l’appartenenza confessionale cambiava da quartiere a quartiere, a volte persino da
strada a strada. Nessuno poteva dire dove iniziasse la Bosnia cristiana e dove finisse
quella serba, la Bosnia era al tempo stesso l’una e l’altra .
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In questa intricata costruzione di popoli, lingue e religioni, serbi e croati comin-
ciarono a sviluppare, ciascuno per proprio conto ma tenendo un occhio vigile sul
vicino, una propria politica nazionale che portasse, in futuro non troppo remoto,
alla realizzazione del rispettivo sogno nazionale.
Il XIX secolo fu infatti un periodo di notevole crescita culturale per la Mitteleu-
ropa asburgica, crescita alla quale il mondo slavo non rimase estraneo, riscoprendo,
come avveniva in tutta Europa, anche larga parte delle proprie radici medioevali.
L’opera del filologo e linguista sloveno Jernej Kopitar nei primissimi decenni
del XIX Secolo fu l’atto fondativo del nascente nazionalismo degli slavi del sud.
L’affermazione dei una comune origine nella lingua e nei costumi, precedente la
frammentazione dovuta alle invasioni del tardo medioevo, instillava nella cultura
croata e slovena, ed in parte in quella serba, l’idea di un futuro comune destino, che
6 JOHN MASON, Il tramonto dell’impero asburgico, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 35-38.
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