Page 159 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
P. 159
L’estate 1943
gli sforzi sostenuti. Gli italiani, dal canto loro, non potevano esimersi dal fare un
consuntivo della propria guerra. Perduto l’Impero in Africa orientale nel 1941, per-
duta la Libia nel 1942, nel 1943 una intera armata era andata distrutta in Russia e poi
una seconda in Tunisia. Infine, anche la Sicilia era perduta, mentre i bombardamenti
sulla penisola si facevano sempre più frequenti e distruttivi. Lo stillicidio di perdite
nei Balcani ed i racconti dei reduci dalla ritirata del Don fecero il resto.
Nonostante le perdite fossero state di gran lunga inferiori a quelle sopportate
nella Grande Guerra, quando apparve chiaro che il meglio che ci si potesse atten-
dere da una vittoria dell’Asse, peraltro improbabile, era di diventare “la baracca
più allegra del campo”, il morale del popolo italiano venne meno, e con esso i resti
dell’alleanza con la Germania .
7
Un evento meglio di altri illustra come all’inizio del 1943 l’Italia e la Germa-
nia abitassero, pur nella stessa alleanza, due mondi diversi. Il 18 febbraio, quando
ormai il disastro sul Don era noto in tutta la sua portata –tre armate distrutte e altre
quattro dimezzate- il ministro della propaganda tedesco Goebbels si rivolgeva ai
tedeschi che gremivano lo Sportpalast di Berlino, chiedendo loro se preferissero la
pace od una guerra “ancor più totale e radicale”. Il boato della risposta affermativa
quasi coprì le sue parole, pur amplificate dai microfoni, mentre molti tedeschi at-
taccati alle radio in tutta la Germania si univano a gran voce alla corale professione
di fede nella vittoria finale. Goebbels stesso la definì “l’ora dell’idiozia”. In Italia
nulla del genera era immaginabile in quel momento .
8
I colloqui italo-tedeschi di Feltre del 19 luglio, che precedettero di alcuni giorni
l’arresto di Mussolini e la sua sostituzione col maresciallo d’Italia Pietro Badoglio,
evidenziarono chiaramente che fra i due alleati oramai ben poco poteva essere con-
certato. Il generale Vittorio Ambrosio, Capo di Stato Maggiore Generale, aveva
chiesto al dittatore di presentare ai tedeschi una lista di richieste di armi e dotazio-
ni, senza le quali l’Italia non avrebbe potuto proseguire la guerra; al tempo stesso
Mussolini aveva deciso di sottoporre al collega tedesco una proposta di accordo coi
sovietici che consentisse di concentrare le forze dell’Asse nel settore mediterraneo.
Difficile dire quanto il capo del fascismo credesse davvero di trovare ascolto,
certo è che, in effetti, durante i colloqui Mussolini quasi non parlò, travolto dal
fiume di parole di Hitler e dal suo intransigente ukase: nessuna trattativa coi russi,
niente armi tedesche per il Regio Esercito. Se necessario, aggiunse, sarebbero stati
i tedeschi a farsi direttamente carico della resistenza in Italia e nei Balcani, e se
necessario anche a prendere il comando diretto delle truppe italiane.
La caduta del fascismo pochi giorni dopo colse i tedeschi di sorpresa per la sua
rapidità e subitaneità, ma non giunse inattesa né variò di molto i piani di Berlino
7 P. BERINARIA, La situazione globale del conflitto, cit., pp. 16-17.
8 G. Schreiber, I militari italianiinternati, cit., pp. 789-790.
159

