Page 162 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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La “quinta sponda “ storia dell’occupazione italiana della Croazia.
tori che si erano mossi sulla scena fino a quel momento, tedeschi, italiani, cetniĉi,
ustaŝa e partigiani, tre erano quasi scomparsi dalla scena o erano sul punto di farlo
e gli altri due stavano occupandone lo spazio.
Il primo elemento a venire meno come forza indipendente era stato il governo
di Pavelic. Feroce e impopolare, il regime ultranazionalista di Zagabria aveva da
tempo perduto il controllo di gran parte del territorio, e all’inizio del 1943 sopravvi-
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veva unicamente con il supporto militare tedesco . Era stato proprio il fallimento
dello Stato Indipendente Croato nel dare vita ad un potere statale credibile a causare
il progressivo impegno militare italo-tedesco culminato nel ciclo di operazioni anti-
partigiane del 1942-43.
L’operazione Schwarz si era conclusa nel maggio con la distruzione della mag-
gior parte delle forze partigiane in Montenegro ed Erzegovina ma anche con la
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erosione di ciò che rimaneva della capacità operativa delle divisioni italiane .
Il morale delle truppe italiane era già notevolmente compromesso sia dall’an-
damento della guerra che dalla ininterrotta e disagevole permanenza nei Balcani,
nella quale le operazioni antipartigiane si susseguivano ininterrotte da due anni,
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senza che se ne vedesse la fine . Dall’aprile 1943 tutti i rapporti che giungevano a
Roma confermavano un quadro generale preoccupante: le truppe italiane erano allo
stremo e per lo più non credevano nella possibilità di una conclusione vittoriosa
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della guerra . Delle dieci divisioni italiane della 2ª Armata, ben sei erano presenti
nel teatro fin dall’inizio dell’occupazione.
Allo stesso tempo gli alleati degli italiani, i cetniĉi serbi, non si ripresero più
dalle perdite subite nel duplice confronto con i titini e i tedeschi. Alla metà del 1943
essi cessarono praticamente di esistere come forza combattente indipendente.
L’intera strategia di Mihajlovic, capo riconosciuto ma poco obbedito delle
formazioni cetniche, era infatti tutta basata sull’ipotesi di uno sbarco alleato nei
Balcani, e a questo concetto egli aveva ispirato l’intera sua strategia nella guerra:
combattere e distruggere i comunisti di Tito per poi rivolgersi, con l’aiuto alleato,
contro gli occupanti. A che pro logorarsi subito contro i tedeschi, ed esporre la po-
polazione alle rappresaglie, quando l’offensiva si sarebbe potuta scatenare, e con
17 Piéche ribadiva nel maggio che i tedeschi avevano ormai in mano la Croazia: “tutto è ormai
controllato dai tedeschi, i quali agiscono come se fossero in casa propria senza nemmeno
consultare, nel maggior numero dei casi, le autorità croate o quelle italiane”. AUSSME, Fon-
do M-3, B. 19, fasc. 8, “Relazioni del Generale Pieche sulla situazione in Serbia e Croazia”.
Relazione del 19 maggio 1943, p. 4.
18 L. MONZALI, La difficile alleanza con la Croazia ustascia, cit., pp. 126-127.
19 J. BURGWYN, L’Impero sull’Adriatico, cit., pp. 330-339.
20 Per essersi arresi ai partigiani senza combattere 27 militari italiani vennero condannati a
morte e fucilati nel giugno 1943 da un tribunale militare. AGOSTINO BISTARELLI, La re-
sistenza dei militari italiani all’estero. Jugoslavia centro-settentrionale. Roma, Rivista Mi-
litare, 1996, pp. 67-70.
162 Capitolo settimo

