Page 98 - La quinta sponda - Una storia dell'occupazione italiana della Croazia. 1941-1943
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Il Regio Esercito in Croazia. 1941-1943. Stategie di occupazione e politica delle nazionalità
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fatto che i presidi italiani non lo erano .
Tali giudizi, che erano anche un sintomo del rapporto difficile che talvolta esi-
steva nelle file del Regio Esercito fra ufficiali e soldati, erano accuratamente cassati
dalla censura, ma possono contribuire a spiegare anche il rapporto difficile degli
ufficiali italiani con i loro omologhi tedeschi, che rappresentavano a volte un imba-
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razzante termine di paragone . La memorialistica degli ufficiali è difatti in generale
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molto più antitedesca di quella dei soldati .
Le relazioni della censura italiana sulla posta militare confermano del resto
come anche sul fronte russo si fossero stabilite relazioni di un certo cameratismo
fra soldati italiani e tedeschi, mentre le relazioni fra ufficiali fossero nel complesso
ancora una volta cattive.
La spietatezza tedesca, che in Russia sollevava tanta contrarietà fra gli italiani,
nei Balcani non sollevava altrettanta riprovazione. Anche se non mancano giudizi
critici sulla durezza eccessiva dei tedeschi, le lettere dei soldati riportano in genere
un certo rispetto per il modo in cui i tedeschi riuscivano a tenere in pugno la popo-
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lazione con una spietata politica di paura .
Si può parlare quindi di un rapporto migliore fra i soldati tedeschi e italiani
che fra gli ufficiali? Non del tutto. L’atteggiamento del soldato italiano in Croazia,
almeno da come emerge dalle testimonianze giunteci, può riassumersi nel duplice
sentimento di considerazione per il tedesco come soldato e nell’antipatia per il te-
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desco come individuo .
È significativo a questo riguardo come i soldati italiani appartenenti ai reparti
di maggiore coesione ed efficienza avessero minore ammirazione per i “camerati
germanici”. È il caso dei fanti della divisione Sassari, unità fra le più solide del
Regio Esercito, che ai tedeschi rinfacciavano una certa riluttanza al combattimento
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corpo a corpo .
52 Archivio dell’Ufficio Storico della Polizia di Stato, “Relazione storica sul Battaglione agenti
motociclisti mobilitato. Jugoslavia 41-42”, p. 22.
53 A. OSTI GUERRAZZI, Noi non sappiamo odiare, cit., pp. 211-212.
54 Ivi, p. 220.
55 “Quando un tedesco veniva ucciso, i compagni non stavano a fare indagini per scoprire il
vero assassino. Uccidevano subito chi capitava a tiro. E così loro erano temuti e rispettati.
A noi gli slavi dicevano “bravi italiani, bravi italiani”. E ci sparavano addosso. Noi non ac-
chiappavamo mai nessuno. Cioè quasi mai. E comunque io ho preferito sempre consegnare
il prigioniero ai carabinieri ausiliari che erano con noi”. Testimonianza di Antonio Edosini.
FRANCESCO FATUTTA, PAOLO VACCA, La guerra dimenticata della Brigata Sassari.
La campagna di Jugoslavia 1941-43, Sassari, Editrice Democratica Sarda, 1994, p. 57.
56 S. NEITZEL, H. WELZER, Soldaten, cit., p. 327.
57 “In combattimento coi partigiani scappavano loro. Non sapevano neanche cosa voleva dire
combattimento all’arma bianca”. F. FATUTTA, P. VACCA, La guerra dimenticata della Bri-
gata Sassari, cit., p. 127. Gesuino Cauli. E p. 108, racconto del partigiano Ratislav Bojovic.
98 Capitolo quinto

