Page 162 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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                 Slavianka, un canto popolare diffuso fra i soldati al fronte, che rimpiazzò quello
                 imperiale. Nel mezzo dell’opera di ricostruzione giunse la notizia della resa
                 della Germania e della vittoria dell’Intesa in Europa.
                    Salutata con giubilo dai contingenti Alleati, la notizia apriva una serie di
                 interrogativi per i russi. Finita la guerra, e con essa l’esigenza di ostacolare la
                 politica tedesca in Russia, l’Intesa avrebbe proseguito ad aiutare i bianchi? Le
                 maggiori perplessità riguardavano i cecoslovacchi: ora che la nascita della loro
                 nazione era cosa fatta, la loro principale nemica, l’Austria-Ungheria, si era arre-
                 sa fin dal 4 novembre, quanto si sarebbero ancora spesi nella guerra in Siberia?
                    È difficile dire quanto abbiano influito questi interrogativi sulle successive
                 scelte di Kolchack, certo è che con la sua armata ancora in ricostituzione, egli
                 decise di riprendere l’offensiva in direzione nord-ovest, con obbiettivo Mosca
                 ed il porto di Archangelsk, dove il contingente alleato era tutt’ora assediato, con
                 poca energia occorre dire, dai bolscevichi.
                    L’attacco sarebbe stato portato da un’armata sul fronte degli Urali, in cui
                 erano inseriti i cechi e le unità migliori dell’Ammiraglio, mentre una seconda
                 armata russo-cosacca schierata fra la città di Ufa e il Caspio avrebbe impegnato
                 il nemico in direzione di Samara.
                    L’idea di Kolchack di attaccare durante le prime nevicate fu una mossa meno
                 imprevedibile di quanto possa sembrare. Se infatti il fango autunnale aveva
                 fin lì impedito l’avanzata, il terreno ghiacciato dai primi freddi consentiva per
                 qualche settimana di riprenderla, prima che le pesanti bufere invernali, con la
                 temperatura a -40°, potessero rendere di nuovo impraticabili strade e ferrovie.
                 La neve e il ghiaccio caratterizzavano la normale condizione della Siberia per
                 otto mesi l’anno, e gran parte dei suoi abitanti erano in grado di spostarsi e di
                 combattere anche a temperature estreme, come i tedeschi sperimenteranno a
                 proprie spese negli inverni del 1941, del 1942 e del 1943.
                    I bolscevichi non si aspettavano un attacco in direzione di Mosca, ma lo
                 attendevano comunque verso il Volga. E quì Trockij, aveva schierato gran parte
                 delle proprie riserve.
                    Così se sul versante nord al termine di una settimana di combattimenti venne
                 presa la città di Viatka, a sud le forze bolsceviche respinsero facilmente i tenta-
                 tivi nemici, lanciando anzi una immediata controffensiva che portò alla caduta
                 di Orenburg e Ufa.
                    Debilitato da una malattia polmonare, Kolchack, che seguiva febbrilmente
                 l’andamento delle operazioni, decise allora di tralasciare il fronte meridionale e
                 di continuare ad alimentare l’offensiva su Mosca con tutte le risorse disponibili.
                 Nell’ultima settimana di dicembre i bianchi compirono quindi un nuovo balzo




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