Page 95 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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L’ItaLIa, IL  CSEO E IL GOvErnO PanruSSO            93
                   sari a quella sventurata provincia. Essendo la sorveglianza molto sommaria,
                   affidata per lo più ad anziani riservisti e soldati semi-invalidi, molti prigionieri
                   riuscivano ad evadere dal territorio austriaco verso quello dello stato ucraino
                   semi-indipendente e sotto protezione austro-tedesca. Qui i fuggitivi, tutti in cat-
                   tive condizioni fisiche data la denutrizione e le pessime condizioni dei campi
                   austriaci, trovavano in genere modo di sopravvivere lavorando per i contadi-
                   ni locali. Alcuni italiani tuttavia riuscirono a mettersi in contatto col console
                   onorario italiano a Kiev il quale, molto di malagrazia e solo su imposizione da
                   Roma, li avviava con un piccolo sussidio alla volta di Mosca . Nella nuova
                                                                             172
                   capitale russa la Missione Militare Italiana del generale Romei li prendeva sotto
                   la propria custodia reinviandoli poi mano a mano a Pietrogrado e di lì al primo
                   porto di imbarco possibile .
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                      Il fenomeno assunse nella primavera del 1918 una dimensione crescente,
                   favorito sia dal completo disinteresse degli austro-tedeschi per queste fughe
                   di prigionieri malridotti, sia per l’organizzazione da parte dello stesso Romei
                   di una piccola rete di agenti incaricati di aiutare e indirizzare i fuggiaschi dal-
                   l’Ucraina fino a Mosca.
                      Il governo bolscevico mostrò verso questa attività una certa insofferenza,
                   ma fu facile al generale Romei convincere il commissario agli Esteri Cicerin,
                   al quale Lenin aveva delegato questo tipo di problemi, che il modo migliore
                   di liberarsi degli ex-prigionieri italiani era quello di organizzarli e rimpatriarli
                   esattamente come si era cominciato a fare, e poi dal 1917 non si era più fatto,
                   con gli irredenti di Manera e Bazzani.
                      Accadde così che un primo scaglione di ex-prigionieri venisse inviato a S.
                   Pietroburgo, dove Romei selezionò alcuni elementi con i quali, una volta rive-
                   stiti e armati, formò un piccolo contingente di guardia all’ambasciata italiana.
                       Alla fine di giugno una parte degli uomini venne infine inviata a Archan-
                   gelsk per essere imbarcata. Ma fu appunto nel porto artico che il 2 luglio un
                   reparto bolscevico circondò l’edificio dove erano alloggiati il piccolo reparto
                   italiano e uno serbo, catturandone gli occupanti, mentre imbarcazioni armate



                   172  Romei lamentò in un telegramma al ministro Torretta il “nessun interesse”, “scarso trattamento”
                       e “scarso patriottismo”mostrati dal console a Kiev, allegando anche la testimonianza a riguardo
                       del soldato Giuseppe Macchi. Telegramma del 29­6­1918. AUSSME, E­11, B. 100, fasc. 5.
                   173  Romei decise anche di attingere ai prigionieri fuggiti, che erano tutti militari in servizio, per in­
                       foltire l’organico della sua missione, creando qualche complicazione per la corresponsione dei
                       relativi emolumenti. Il 26 gennaio chiedeva al colonnello Riccardo Pentimalli, inviato a Kiev a
                       gestire il transito dei prigionieri fuggitivi, che gli mandasse due autisti e uno scritturale scelti fra
                       gli elementi migliori fra quanti si trovavano a Kiev. Telegramma del generale Romei al col. Pen­
                       timalli del 29­1­1918. AUSSME, E­11, B. 99, fasc. 2.
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